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Marketing & Social Media

Come le aziende ti convincono a spendere con il tuo consenso

Hai mai acquistato un prodotto perché consigliato dai tuoi influencer preferiti? Hai mai iniziato una serie Netflix catturato dalla dicitura “Top 10 Italia”? Allora questa è la prova che tu, come ognuno di noi, sei influenzato dal social media marketing e che, senza saperlo, tutti i giorni aiuti le aziende a vendere grazie ai tuoi dati. Come? È molto semplice. Ogni volta che accediamo a Internet disseminiamo tracce. Le aziende mettono assieme queste informazioni come pezzi di un puzzle e ricavano una più chiara visione di noi, i potenziali acquirenti. Proprio perché siamo il principale target dei loro prodotti, i brand vogliono conoscerci, empatizzare con noi e proporci soluzioni ai problemi che affrontiamo quotidianamente. 

Come fanno le aziende a conoscerci così bene?

Si stima che un utente medio nel 2024 passi circa 143 minuti al giorno sui social, più di due ore. Per questo motivo, le aziende vogliono colonizzare gli spazi pubblicitari di cui i social dispongono e sfruttarne al meglio le potenzialità. Per raggiungere questo obiettivo le imprese dispongono di un piano editoriale, un documento strategico che prevede una programmazione dei contenuti social da realizzare con obiettivi prefissati, dalla brand awareness, cioè far conoscere il brand e i suoi valori agli utenti, fino alla crescita dei follower. Per realizzare un piano editoriale non basta annotare le caratteristiche demografiche degli utenti per individuare chi potrebbe usufruire di un dato prodotto, bisogna anche e soprattutto tenere conto di come una persona arriva a fare un certo acquisto, delle sue abitudini social, del tipo di contenuti che consuma quotidianamente, dei suoi desideri più inconfessabili e dei suoi comportamenti tipici. È solo grazie alla conoscenza profonda del pubblico che è possibile definire un piano editoriale convincente, con argomentazioni interessanti e spunti accattivanti per attirare la nostra attenzione. Se la strategia è efficace, quando siamo al supermercato e dobbiamo scegliere quali cereali comprare, ci verrà in mente quel video divertente in cui il creator ne mangia una specifica marca, e la acquisteremo. Questa tattica di vendita non è nuova. Creare un legame sentimentale con il target è la prima regola d’oro del marketing, già descritta da Vance Packard ne “I persuasori occulti”, volume di riferimento per gli studi di mercato. Già nel 1957, Packard suggeriva di non vendere il prodotto, ma un’ideale. Una donna non compra una borsa da migliaia di euro solo perché è di qualità, ma perché vuole sentirsi qualcuno che può permettersi un prodotto del genere, perché aspira a una vita agiata e poco accessibile ai più, perché desidera in cuor suo che ovunque vada i passanti vedano quella borsa e associno la proprietaria al gusto e alla raffinatezza. 

Siamo ciò che postiamo: i micro-dati

Per elaborare una strategia di contenuti è possibile utilizzare i micro-dati, ma cosa sono? I micro-dati sono tracce che ogni utente lascia online e che inevitabilmente raccontano qualcosa di sé e dei propri gusti: un like, un commento, una recensione, un profilo seguito racchiudono informazioni riguardo alle preferenze degli utenti, dati preziosissimi per le aziende che vogliono sfruttare i social come leva di mercato. Basandosi sulle ricerche online più frequenti è possibile identificare, o addirittura anticipare, nuove mode. Queste stesse ricerche informano gli analisti su quali siano le aree tematiche che alle persone interessano maggiormente, di cosa sono curiose, cosa vogliono imparare. Grazie alle recensioni degli acquisti, l’azienda può farsi un’idea di quali siano le caratteristiche che vengono gradite e quali disprezzate in un prodotto, i suoi punti di forza e debolezza, che possono essere utilizzati come spunto di partenza per migliorare. Anche le ricerche che facciamo su Google aiutano a capire cosa ci interessa, quali sono le nostre difficoltà e obiettivi, un nostro potenziale disagio risolvibile da nuovo prodotto: se tra le ricerche più frequenti compare “Migliori biscotti al caffè”, Mulino Bianco, dati alla mano, potrebbe cogliere l’occasione per realizzarne una propria versione. È proprio questo che i micro-dati possono fare, aiutare i reparti marketing delle aziende a capire su quali desideri fare leva. 

Un mercato in continua espansione

Nel 2023 il mercato dei Social Media Analytics è stato stimato 5,2 miliardi di dollari e la previsione di crescita tra il 2024 e il 2032 è di oltre il 25%. L’impennata del mercato è alimentata dall’aumento esponenziale di dispositivi mobili nel mondo. Più persone hanno accesso ai social e a Internet, più aumenta il volume di dati generati dai consumatori. L’adozione di smartphone passerà dal 76% del 2022 al 92% entro il 2030. L’immediatezza dei social favorisce la raccolta di dati in tempo reale. Le aziende che stanno al passo possono adeguare le proprie strategie di marketing alla stessa velocità con cui cambiano i trend. L’analisi dei dati dei social media sta diventando più efficiente grazie all’Intelligenza Artificiale e al Machine Learning. Queste tecnologie permettono un’analisi ancora più profonda e veloce, dando alle imprese l’opportunità di agire in tempo reale. Secondo le previsioni, il mercato software dei social media supererà 25 miliardi di dollari entro il 2032 e il suo segmento cloud supererà il 26% tra il 2024 e il 2032. Quest’ultimo permette l’analisi in tempo reale dei dati e la gestione dei cosiddetti big data, quantità di informazioni molto elevate. Le piattaforme di analisi basate su cloud richiedono solo una connessione internet per permettere ai dipendenti di lavorare contemporaneamente da ogni parte del mondo; per questo sono così popolari. Di questa fetta di mercato fanno parte le aziende che sviluppano strumenti analitici per monitorare i dati social e prendere decisioni basate su di essi. Il primo Paese a usufruire di questi servizi sono gli Stati Uniti. Le aziende statunitensi usano i social per influenzare gli acquisti degli utenti, per promuovere il proprio marchio e per coinvolgere i clienti. Un altro esempio interessante è quello della Cina, che deve l’esplosione delle vendite nel mercato e-commerce alle piattaforme social. 

I re dell’analisi dati

Le società che detengono la maggiore quota nell’analisi dei social media sono Sprout Social e Hootsuite, con oltre il 5%. Entrambe vantano come punti di forza la semplicità di interfaccia utente, l’analisi di più canali social contemporaneamente e l’innovazione continua. In Italia il tool analitico più utilizzato è Not Just Analytics, nato nel 2018. Previo abbonamento, si può accedere alle informazioni del profilo desiderato tramite username. Si possono controllare la media dei like e dei commenti su Instagram e le interazioni con i post, quali sono i post migliori e gli hashtag più utilizzati. La piattaforma è particolarmente utile per le grandi aziende e le agenzie di comunicazione, perché crea liste personalizzate di profili social da analizzare, genera report dei profili monitorati che possono essere scaricati, personalizzati e inviati direttamente ai clienti. Not Just Analytics stila anche una pagella social con le informazioni più rilevanti di ogni influencer. Ne ha Parlato recentemente la nota creator Giulia Valentina nelle storie Instagram, dicendo che può essere mostrata ai brand come portfolio per certificare le performance dei propri contenuti. La pagella digitale non è modificabile ed è accreditata dal sito, quindi nessuno può truccare i numeri a proprio vantaggio.

Il caso Barbie

Uno dei casi più eclatanti dell’importanza dei dati nel prendere decisioni di marketing è Barbie. Il film sulla celebre bambola Mattel, uscito nel 2023, è stato preceduto da una massiccia campagna pubblicitaria, trasversale a ogni piattaforma. Durante i mesi precedenti all’uscita del film il mondo si è colorato di rosa: i social, i cartelloni pubblicitari, gli eventi di moda, i negozi… tutto è stato travolto dalla barbie-mania. Ma come è stato possibile? La campagna pubblicitaria ha fatto leva sulla nostalgia, la cultura contemporanea e tante promozioni social e collaborazioni con altri brand, che hanno contribuito ad aumentare gli introiti nelle casse di Mattel e Warner Brothers. Oltre ai vari contenuti social realizzati in collaborazione con influencer e le interviste all’attrice protagonista Margot Robbie, è stata lanciata una collezione di abbigliamento in stile Barbie da Forever21 e un menu dedicato da Burger King Brasile. L’attesa della pellicola è andata in crescendo fino all’uscita nelle sale cinematografiche. Il film Barbie ha fatturato 1.45 miliardi di dollari al botteghino e ha vinto il record di incassi dell’anno. La strategia social basata sull’analisi dei dati è stata fondamentale per la riuscita dell’impresa: un sondaggio ha dimostrato che più della metà degli intervistati ha scoperto del film tramite i social. Ciò dimostra che i social media sono un mezzo potentissimo per portare un prodotto sotto agli occhi di tutti.

Il boom dell’influencer marketing

I dati provenienti dall’analisi dei social media servono per selezionare gli influencer più rilevanti, quelli che riescono a convertire, ovvero che riescono a influenzare l’acquisto dei prodotti mostrati sui loro canali online. Questa pratica è detta influencer marketing. La scelta del giusto influencer e della giusta collaborazione sono elementi chiave per la buona riuscita della campagna. In Italia circa un terzo dei follower di influencer compra prodotti da loro consigliati. Secondo lo studio condotto dalla società di consulenza digitale Sensemakers, tra gennaio e settembre 2024 le attività di influencer marketing in Italia si sono moltiplicate rispetto a quelle dello stesso periodo nel 2023. Sia su Instagram sia su Tiktok sono cresciuti notevolmente i post brandizzati (+47%) e gli influencer attivati (+12%), cioè pagati per mostrare specifici prodotti e parlarne sui social. A trainare il boom dell’influencer marketing è proprio Tiktok, con un aumento dell’82% sui post e del 106% sugli influencer. Il social con la copertura di utenti più alta in Italia (96%) è però YouTube, che raggiunge tutte le fasce d’età e riesce a far trascorrere agli utenti in media trenta minuti al giorno sulla piattaforma. 

Social Media Analytics: semplicemente indispensabili

Grazie ai social media, le aziende e-commerce capiscono il comportamento di acquisto dei clienti e riescono ad offrire raccomandazioni di acquisto personalizzate. Il prezzo dell’innovazione, però, è alto: sempre più utenti sono consapevoli dei rischi legati alla privacy e alla sicurezza dei dati e, quindi, cresce la loro preoccupazione per quanto ne riguarda la raccolta, la condivisione e il trattamento da parte delle società. Per non parlare del rischio di attacchi informatici che le piattaforme social fronteggiano quotidianamente. L’accesso non autorizzato ai dati e il loro sfruttamento sregolato da parte di alcuni fa perdere agli utenti fiducia nei fornitori di analisi di social media e, di conseguenza, intacca la voglia delle imprese di usufruire dei loro servizi. Nell’era digitale, però, sono le piattaforme a generare la maggior parte dei profitti, quindi le aziende sono obbligate a tenerle in considerazione e sfruttarne i dati per rimanere rilevanti e competitive. Da parte loro, i consumatori hanno la responsabilità di capire i meccanismi del social media marketing e segnalare i creator o le aziende con atteggiamenti scorretti. Compiere scelte informate e rimanere sé stessi è la più grande sfida dell’era social e non saranno di certo i meno attenti a vincerla.

 

FONTI

https://www.insidemarketing.it/not-just-analytics-social-media-management/

https://marketing-espresso.com/blog/come-utilizzare-i-micro-dati-per-definire-un-piano-editoriale-me-plus-con-massimo-giacchino/

https://www.gminsights.com/it/industry-analysis/social-media-analytics-market 

https://www.corriere.it/tecnologia/24_novembre_16/influencer-marketing-mercato-in-crescita-a-un-anno-dal-pandoro-gate-mentre-prosegue-il-boom-di-tiktok-8a5e1072-1544-41bb-a9ae-f1184fadbxlk.shtml

https://www.sprinklr.com/blog/social-media-case-study/ 

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Marketing & Social Media

Social media e customer experience: come i brand stanno ridefinendo la relazione con i consumatori

Non è un mistero che l’avvento dei Social Media, dalla nascita all’ascesa, abbia completamente trasformato la vita personale e professionale di milioni di persone, influenzando tutti i settori, obbligando le aziende a rivedere le proprie strategie di interazione con i consumatori in ogni aspetto per integrarle ad un nuovo panorama digitale. In questo contesto, la Customer Experience (CX)  è progressivamente diventata uno degli aspetti più cruciali per il successo di ogni marchio. Si tratta dell’insieme delle interazioni che un cliente ha con un brand lungo tutto il percorso di acquisto, dalla prima impressione allo sviluppo di awareness, dall’acquisto al supporto post-vendita, comprendendo marketing, comunicazione, supporto clienti ed ogni passaggio esperienza online. Ogni punto di contatto contribuisce a costruire l’immagine del brand nella mente del consumatore, facendo della CX una potente leva non solo verso l’acquisto, ma anche e soprattutto per quanto concerne la fidelizzazione.

La crucialità della Customer Experience non si esaurisce dunque nel momento dell’acquisto, ma permea tutte le fasi del ciclo di vita del cliente. In un mondo interconnesso, i consumatori desiderano esperienze fluide e personalizzate, estese su canali diversi: dai negozi fisici ai siti web, alle app e ai social media. Con l’emergere del social commerce, l’integrazione dell’esperienza di acquisto direttamente sulle piattaforme social, come è avvenuto su Instagram e TikTok, l’esperienza del cliente ha continuato ad evolversi, integrando sempre più online e offline. In questo panorama, le aziende sono chiamate ad assicurarsi di essere sempre presenti, rispondendo in tempo reale alle richieste dei clienti e supportandoli prima e dopo l’acquisto in maniera personalizzata.

Le aspettative sono sempre più alte: esperienze rapide, senza “friction”, che rispecchino i desideri dell’acquirente. Le aziende che riescono a soddisfare queste aspettative si guadagnano la fedeltà, oltre che un vantaggio competitivo notevole. Le strategie che possono essere adottate sono numerose, ma tra le più rilevanti e gettonate rientrano sicuramente tecniche quali il Social Media Listening, così come l’uso di chatbot basati su intelligenza artificiale. Attraverso questi strumenti è possibile di raccogliere feedback dai clienti e offrire un’assistenza personalizzata, immediata, efficiente, il tutto a vantaggio, appunto, dell’esperienza complessiva del cliente.

L’importanza della Customer Experience

La CX riguarda dunque, come detto, tutte le fasi dell’interazione tra cliente e azienda: prima, durante e dopo l’acquisto. Ciascun passaggio, online od offline che sia, impatta sulla percezione del brand: i clienti desiderano sentirsi compresi e rispettati dalle aziende, che devono allora offrire esperienze personalizzate, coerenti e senza rallentamenti. Se la CX è positiva, il cliente lascia l’interazione soddisfatto, favorendo la retention, l’ottenimento di un cliente affezionato.

L’obiettivo primo è allora quello di garantire esperienze fluide in ogni fase del Customer Journey, che parte sin dalla ricerca del prodotto, arrivando all’acquisto, al supporto post-vendita e alla gestione dei feedback. Un sito di e-commerce facile da navigare, processi di acquisto rapidi, un servizio clienti disponibile 24 ore su 24, servizi di assistenza self-service e altri elementi sono la chiave che contribuisce ad una CX positiva.

Social Media e Social Commerce

Uno degli sviluppi più significativi degli ultimi anni è il social commerce, la possibilità di acquistare direttamente su piattaforme come Instagram e TikTok, un’evoluzione che ha ridefinito il Customer Journey, concentrandone i passaggi fondamentali – quelli legati alla vendita – in un unico ambiente virtuale che, integrando ricerca, interazione e acquisto, garantisce fluidità nell’esperienza di acquisto e migliora la soddisfazione del cliente, che non è più costretto a navigare tra diversi canali per completare l’acquisto.

I social media offrono poi un’opportunità unica di raccogliere feedback in tempo reale, rispondere a domande e commenti dei consumatori, e creare contenuti personalizzati. Le aziende hanno così la possibilità di migliorare continuamente l’esperienza, iterando sui commenti ricevuti in merito ad un determinato prodotto o servizio, oltre che di costruire relazioni più forti con i propri clienti.

Al social commerce c’è sicuramente un grande “ma”, legato alla preoccupazione sempre crescente dei consumatori in merito alla sicurezza dei propri dati e all’utilizzo delle osservazioni che Meta e ByteDance raccolgono sull’utente, ulteriormente arricchite – e dunque, sotto certi aspetti, rese più pericolose – dalle informazioni aggregate sugli acquisti completati attraverso le piattaforme.

Social Media Listening

Una delle strategie più efficaci per ottimizzare la Customer Experience è il Social Media Listening, il processo di monitoraggio delle conversazioni online sui social media per raccogliere feedback e informazioni che possano essere utilizzati per migliorare le strategie messe in campo dall’azienda. Utilizzando strumenti di Social Media Listening le aziende possono scoprire cosa i consumatori pensano dei loro prodotti o servizi, monitorando al contempo la reputazione online del brand e rispondendo rapidamente alle opinioni positive e – soprattutto – a quelle negative.

Il Social Media Listening permette, inoltre, di raccogliere informazioni su tendenze emergenti, necessità non soddisfatte e preferenze del bacino d’utenza interessato: durante la pandemia di Covid-19, questi strumenti sono diventati fondamentali per monitorare le reazioni dei consumatori in tempo reale e adattarsi rapidamente ai cambiamenti osservati. Le aziende in grado di sfruttare questi strumenti non solo rispondono in modo più efficace alle esigenze dei clienti ma riescono anche a migliorare continuamente l’offerta e le relazioni con il pubblico.

Secondo uno studio di Forrester, il principale utilizzo del Social Media Listening è per la competitive intelligence, seguito dal monitoraggio dei trend e della reputazione online, non ultima la possibilità di raccogliere insight che possono stimolare l’innovazione dei prodotti, oltre che identificare influencer chiave per migliorare la visibilità del brand. 

Chatbot e Intelligenza Artificiale

In parallelo al Social Media Listening, l’adozione di chatbot basate su intelligenza artificiale ha avuto un impatto significativo sulla Customer Experience. Con l’aumento delle aspettative dei consumatori, le aziende devono essere in grado di fornire risposte rapide, efficaci e personalizzate. Tuttavia, gestire il volume di richieste giornaliere da parte dei consumatori è una sfida, e le IA si sono rivelate strumenti fondamentali nell’ottimizzazione del servizio clienti.

Questi strumenti non solo possono rispondere alle richieste in tempo reale, risolvendo rapidamente problemi comuni e riducendo i tempi di attesa, migliorando l’efficienza del supporto clienti e la CX stessa, ma consentono anche alla controparte umana di concentrarsi su problemi più complessi e difficilmente risolvibili attraverso percorsi standardizzati. Un’altra possibilità introdotta dall’adozione delle chatbot è quella di raccogliere dati e feedback dai clienti, aiutando le aziende a ottenere una visione chiara del livello di soddisfazione e a identificare aree di miglioramento nel servizio.

Ma l’efficacia delle chatbot non si limita alla gestione delle richieste: grazie alla loro capacità di apprendere dai dati, possono anche offrire un’esperienza personalizzata. Ad esempio, possono rispondere alle domande specifiche di ogni cliente, creando una relazione più forte e aumentando la fedeltà al marchio. Inoltre, le chatbot possono essere utilizzate per raccogliere informazioni e dati importanti sui clienti, da utilizzarsi successivamente per l’ottimizzazione dei prodotti, dei servizi e delle offerte dell’azienda.

A questi strumenti ci sono però anche dei contro: prima tra tutti la natura di “arma a doppio taglio”; se, da un lato, le chatbot possono rapidamente risolvere problemi semplici, i clienti già consapevoli di avere un problema più complesso da risolvere non trarranno beneficio dall’interazione con un’IA addestrata per l’analisi di imprevisti frequenti e potrebbero dunque percepire questo passaggio – a maggior ragione se obbligato – come una fonte di “friction” non indifferente. In secondo luogo, è molto importante il tipo di esperienza che il brand si propone di offrire ed il target di riferimento: quando quest’ultimo non è avvezzo all’uso di tecnologie simili – come può capitare se si tratta di clienti più anziani, ad esempio – oppure quando l’esperienza pretesa è di un livello più alto, ed essere delegati ad una chatbot risulta quindi al di sotto delle aspettative del consumatore. L’esperienza è quindi certamente migliorata dalle chatbot – ancora, quando realizzate a regola d’arte – ma è sicuramente importante che questa non sia l’unica opzione, o comunque non quella primaria, e che sia sempre adeguata alle caratteristiche specifiche dell’esperienza in oggetto.

Integrazione e fidelizzazione

La combinazione di Social Media Listening e chatbot basate su IA consente alle aziende di migliorare la Customer Experience in modo significativo: le tecniche e gli strumenti di nuova generazione coadiuvano in questo senso i processi di ottimizzazione del supporto clienti, miglioramento della personalizzazione dell’offerta e raccoglimento di feedback in tempo reale. Ciò contribuisce all’alimentazione di un ciclo continuo di miglioramento e le aziende che integrano efficacemente questi strumenti nelle loro operazioni sono così in grado di costruire relazioni più solide con i clienti, aumentare la soddisfazione e favorire la fidelizzazione.

Infine, una CX ottimizzata non solo migliora la soddisfazione del cliente, ma porta anche a una maggiore retention, il “trattenimento” di un consumatore intorno ai prodotti e servizi del brand, oltre che generare un vantaggio competitivo sostenibile. Le aziende che riescono a rispondere rapidamente e in modo personalizzato alle esigenze dei clienti attraggono così nuovi clienti, ma consolidano il rapporto con quelli esistenti, e creano un legame di fiducia duraturo nel tempo.

Conclusioni

In conclusione, la Customer Experience è stata profondamente trasformata dall’evoluzione dei social media e dalle tecnologie digitali e di ciò sono testimonianze l’integrazione di social commercechatbot e Social Media Listening e la tendenza di questi strumenti a supportare un’esperienza senza soluzione di continuità lungo tutto il percorso del cliente. Grazie alla capacità di raccogliere e analizzare feedback in tempo reale, queste implementazioni aiutano le aziende a migliorare continuamente la propria offerta, rispondendo al contempo in modo più efficace alle esigenze dei consumatori. Le aziende che implementano queste tecnologie sono in grado di creare relazioni più solide e durature con i propri clienti, un aspetto cruciale in un mercato sempre più dinamico e interconnesso.

Fonti

https://www.thebusinessresearchcompany.com/report/social-media-global-market-report

https://www.progettoartes.it/come-creare-memorabili-customer-experiences-attraverso-i-social-media/

https://www.globenewswire.com/news-release/2024/07/19/2916017/0/en/Customer-Experience-Management-Market-Size-to-Reach-US-47-83-Billion-by-2032-AI-ML-Enable-More-Personalized-and-Predictive-Customer-Experiences-Research-by-SNS-Insider.html

https://it.linkedin.com/pulse/elevare-la-customer-experience-come-i-social-media-possono-bandiera

https://www.salesforce.com/it/blog/social-commerce-customer-experience/

https://www.oracle.com/it/cx/what-is-cx/

https://blog.digimind.com/it/che-cos-è-il-social-media-listening#cquoi

https://www.ibm.com/think/topics/chatbots-for-customer-experience

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Marketing & Social Media

Influencer marketing: strategie vincenti per startup e PMI nell’era dei social media

L’influencer marketing è una delle moderne tecniche di social media marketing più diffuse tra grandi e piccole imprese, che utilizza la collaborazione tra brand e influencer al fine di aumentare la visibilità, migliorare il branding e raggiungere nuovi segmenti di mercato dell’azienda. Si tratta di una delle tecniche più utilizzate ed efficaci nella contemporaneità, non solo grazie all’abbattimento dei costi – e all’efficientamento della spesa in marketing e pubblicità, l’aumento del Return on Ad Spend o ROAS – indice di redditività che misura l’efficienza degli investimenti pubblicitari – che questo tipo di social media marketing rappresenta, ma anche proprio per l’importanza che una rappresentazione organica e genuina del proprio prodotto o marchio rappresenta nel panorama commerciale contemporaneo. Non è infatti una novità che il marketing sui social media si stia spostando verso il contenuto organico e la rappresentazione del proprio brand attraverso la voce di altri consumatori, siano essi personalità del web, coloro che rappresentano appunto la risorsa principale nell’influencer marketing, o professionisti che si occupino proprio della realizzazione di contenuti organici – User Generated Content (UGC) – per conto delle aziende, alternativa o differenziamento della spesa marketing altrettanto gettonato nel marketing oggi. Sebbene i vantaggi siano numerosi, l’utilizzo di tecniche simili ha pari svantaggi e sfide legate all’identificazione degli influencer che siano affidabili nelle statistiche da questi riportate, di modo da non sovradimensionare l’investimento (che va proporzionato in funzione del seguito e dell’engagement dell’influencer), ma anche scegliere figure che siano adeguate e allineate ai propri valori e obiettivi come azienda, sperando infine che queste non siano successivamente oggetto di disastrose controversie che intaccherebbero l’immagine del brand in assenza di uno strutturato sistema di gestione del rischio.

 

Le radici e la crescita dell’influencer marketing

L’influencer marketing ha radici più antiche del Web 2.0, sebbene se ne parli solo da quando si è iniziata a strutturare la figura stessa dell’influencer nell’immaginario comune: “The People’s Choice”, uno studio di Lazarsfeld pubblicato negli anni Sessanta ormai affermato come cruciale nelle teorie della comunicazione, metteva già in luce come la maggior parte delle persone siano influenzate nelle scelte da dicerie e opinion leader, gli “influencer ante litteram”, nella caratterizzazione di quello che viene chiamato Multistep flow model. Si parla di un settore che è oggi in crescita vertiginosa, dagli 1,7 miliardi di dollari statunitensi del 2016 agli oltre 21,1 del 2023 e che ha già superato questo numero nel corso del 2024. La crescita non è casuale, la maggior parte delle fonti riporta risultati eccezionali, ROAS molto più elevati di altre tecniche di marketing digitale, con un ritorno di oltre 23 dollari per ognuno speso in questo settore, oltre che una capacità di consolidamento e diffusione dell’immagine di un’azienda mai visto prima. Sulla linea dello studio di Lazarsfeld, il 62% degli utenti sui social media afferma di fidarsi di più di un influencer rispetto alle celebrità di fama mondiale data l’autenticità che i primi dimostrano nella rappresentazione di prodotti sponsorizzati. Le startup, che affrontano l’ardua sfida della competizione agguerrita in determinati settori, non solo da parte delle altre startup ma anche dai player rilevanti e consolidati nel settore: queste piccole imprese devono allora, al fine di attrarre nuovi segmenti e attivarli, coinvolgere personalità che presentino un seguito nutrito e, cosa ancora più importante, attivo e interessato.

 

Engagament rate: un seguito attivo e presente

Quanto a quest’aspetto, infatti, non è il numero dei followers o comunque la dimensione del pubblico “nominale” ad essere cruciale, quanto l’engagement, l’attività e l’interesse effettivo che questo pubblico dimostra per l’influencer in questione. A parità di numero in termini di seguaci, l’impatto dell’influencer e dei prodotti da questi pubblicizzati varia notevolmente in funzione di quanti effettivamente si attivano e interagiscono con i contenuti prodotti: come vedremo, questo aspetto rappresenta forse la trappola più pericolosa dietro un approccio inconsapevole verso questa tecnica pubblicitaria e comunicativa. In tal senso esiste poi il principio per cui al crescere del pubblico verso numeri molto elevati, questo diventi progressivamente meno attivo in percentuale: basti pensare a come la maggior parte dei moderni social media proponga, all’apertura del profilo, di seguire personalità di spicco con milioni di followers. Mentre l’engagement rate (la percentuale di followers che interagiscono con i contenuti del creator) è considerato in un range positivo dall’1% in su (su Instagram) per gli influencer con un numero di seguaci pari a 100 mila o superiore, chi ne ha molti meno non può ritenersi soddisfatto di un tasso di engagement inferiore al 2,4%.

 

Micro-influencers: il futuro del social media marketing?

In questo contesto è diventato dunque ancor più rilevante il segmento del micro-influencer marketing, questo sia per le ragioni citate sopra, legate tendenzialmente alla maggiore attività (in percentuale) di un pubblico più piccolo – e di conseguenza per le ragioni economiche a livello di costo-efficienza che ne conseguono – ma anche per questioni legate alle nicchie di interesse ed ai piccoli segmenti di interesse, estremamente interattivi con i creator che operano nel loro settore. Uno studio scaturito dalla Terza Conferenza Internazionale sulla Gestione Economica e sulle Industrie Culturali riporta il micro-influencer marketing come “efficace” e “costo-efficiente”, identificando lo scarto tra i piccoli e grandi influencer, oltre che i risultati positivi ed i vantaggi che questi hanno portato in passato, anche alle sopracitate startup. Il micro-influencer marketing, dunque, si identifica come strumento sostenibile per ottenere awareness, dal lato dei nuovi brand, e consolidare la propria identità, dal lato dei marchi già affermati o addirittura storici. Non è facile, naturalmente, rendere redditizia questa tecnica: c’è bisogno di analisi, pianificazione, di una buona implementazione e di meccanismi di controllo solidi: il lancio dei prodotti deve individuare il canale migliore per il brand, le vie di comunicazione che siano più adatte al raggiungimento del target di riferimento.

 

Rischi e svantaggi

Perché dunque non utilizzare unicamente le collaborazioni con influencer per il proprio marketing, se questo strumento ha mostrato un alto fattore costo-efficacia e risultati eccellenti a livello di credibilità e reputazione? Lo svantaggio principale è rappresentato dalla difficoltà nella scelta del personaggio da porre a immagine del proprio prodotto: è necessario selezionare attentamente un influencer che abbia al contempo numeri convincenti e un’immagine correttamente rappresentativa del marchio. Quanto al primo aspetto e come citato precedentemente, sono fondamentali analisi che si spingano oltre la professionalità dell’influencer e la valutazione quantitativa del numero di followers: è necessario osservare attentamente il bacino di seguaci, capire che tipo di segmento rappresentano, quali sono i loro interessi e, soprattutto, quanto sono attivi, legati all’influencer, “influenzabili” appunto. Questo aspetto è fondamentale nel micro-influencer marketing e ancor più quando si collabora con creators dal seguito più nutrito. La cosa è poco evidente al di fuori del circolo di social media manager e marketers sui social media e non lo è per nulla fuori dal settore, ostacolo che risulta complesso da affrontare soprattutto per le piccole imprese e le startup; questo fatto è ulteriormente aggravato dal fenomeno dell’”Influencer Fraud”, creator che vendono la loro figura in maniera da apparire come un investimento più redditizio per le imprese, tutto quando però non ci sono i presupposti per dipingere questo quadro della situazione. Sul secondo aspetto è fondamentale osservare il rischio insito nell’affidamento o comunque nell’affiancamento dell’immagine del proprio marchio o prodotto a quello di un’influencer: le controversie che colpiranno eventualmente quest’ultimo saranno facilmente e di conseguenza accostate al brand, rischiandone l’immagine qualora le contromisure tipicamente adottate in questi casi non siano all’altezza, specialmente quando questo legame è rafforzato nel tempo o viene intrattenuto con una figura di grande spicco. Quest’ultimo aspetto rappresenta anche un altro dei vantaggi più cruciali del micro-influencer marketing, caso in cui spesso le controversie a danno del creator rappresentano più il rischio di perdere quanto investito che di intaccare effettivamente l’immagine del prodotto.

 

Strumenti fondamentali, ma a volte rischiosi

In definitiva, l’influencer marketing continua ad essere in grande crescita e continuerà realisticamente a rappresentare sempre più lo strumento ideale per il consolidamento di awareness e immagine del proprio marchio, portando innumerevoli vantaggi a livello di efficienza della spesa pubblicitaria, efficacia nella trasmissione del messaggio e della visione del brand e del prodotto, coadiuvando investimenti più contenuti nel marketing ad un maggiore impatto sul mercato, specialmente nelle nicchie o in segmenti più difficilmente raggiungibili dai mezzi pubblicitari tradizionali. Al contempo, mantenendo ferma l’importanza e la potenza di uno strumento simile, bisogna tenere sotto controllo i potenziali rischi, valutando attentamente la figura scelta sia nei risultati quantitativi ottenuti che nell’attinenza al marchio, alla sua mission, ai valori e alla vision che questo abbia bisogno di rappresentare, a livello di personaggio e di segmento di pubblico presente intorno ad esso. Bisogna, in ultimo, prepararsi ai possibili risultati negativi delle campagne pubblicitarie che prevedano la centralità della collaborazione con un influencer.

 

Fonti:

Lazarsfeld, P. F., (1965). The people’s choice. 2a ed. New York: Columbia Univ. Press.

https://localiq.co.uk/blog/organic-marketing-vs-paid-marketing-which-is-best-for-your-business

https://www.statista.com/statistics/1092819/global-influencer-market-size/

https://www.startupgeeks.it/influencer-marketing-per-startup/

https://izea.com/resources/influencer-marketing-statistics/

https://grin.co/blog/influencer-marketing-for-startups/

https://www.forbes.com/sites/abdoriani/2024/04/17/5-startup-opportunities-in-influencer-marketing/

https://www.researchgate.net/publication/357609500_Influencer_Marketing_for_Start-ups_The_Rise_of_Micro-influencers

https://www.molecole.com/social-network/social-media-marketing-perche-importante-per-startup/

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Marketing & Social Media

L’Occidente ha paura di Tik Tok: è realmente una minaccia?

Tik Tok, l’applicazione cinese più amata dagli adolescenti, ha di recente iniziato a destare sospetti in più paesi, i quali stanno disponendo divieti di installazione dell’app nei dispositivi governativi: in particolare si parla di Stati Uniti, Canada, India, Taiwan, Lettonia, Danimarca, Belgio, Nuova Zelanda, Regno Unito e persino la Commissione e Parlamento Ue. Ciò sarebbe dovuto al timore di spionaggio da parte della Cina e ad un forte rischio di violazione della privacy dei suoi utenti. Nei giorni scorsi anche in Italia è stata presentata la questione, il tutto con una mozione del PD in Senato.

Ma come si è giunti a questo punto?

Il blocco di Tik Tok dai dispositivi federali statunitensi

Con una nota della Casa Bianca diffusa il 27 febbraio scorso, è stato imposto alle agenzie governative statunitensi di disinstallare Tik Tok da qualunque dispositivo informatico entro 30 giorni.
La scelta è dovuta al forte timore di spionaggio da parte della Cina e a un intollerabile rischio per la privacy e per la sicurezza nazionale. Ciò che sta preoccupando i legislatori è il fatto che il governo cinese possa costringere Tik Tok a consegnargli i dati dei suoi utenti e che manipoli i contenuti che visualizzano quotidianamente sull’applicazione per influenzare le loro scelte commerciali e politiche.
La questione è stata affrontata lo scorso 23 marzo, data nella quale si è tenuto il confronto tra l’amministratore delegato di Tik Tok Shou Zi Chew e il Congresso degli Stati Uniti. L’ad non ha potuto confermare al 100% che il governo cinese non potesse utilizzare l’applicazione per attività di spionaggio verso gli americani o che non potesse manipolare i contenuti che vedono. Ciò ha portato ad incrementare lo scetticismo dei deputati statunitensi.

Chew ha tuttavia dato delle rassicurazioni basate sui miliardi che Tik Tok sta spendendo per la creazione di firewall per la protezione dei dati degli americani. L’amministratore è convinto che, una volta terminato il processo, la preoccupazione dei legislatori statunitensi si placherà.

Non ci resta che aspettare e vedere se sarà effettivamente così. Dal canto suo, il Ministro degli Esteri Mao Ning ha risposto alle accuse opponendosi all’azione dell’Amministrazione americana e invitandola a rispettare i principi del libero mercato e della concorrenza leale. Inoltre ha lanciato una provocazione:“Quanto si può sentire incerta la massima superpotenza mondiale, se ha paura dell’app preferita dai giovani?”.

Ciò risulta ironico dal momento che in Cina la maggior parte delle piattaforme digitali più frequentate come Google, Facebook, Whatsapp, Youtube e Instagram sono bloccate o fortemente limitate.

La disposizione arriva in Italia

Già tre anni fa il Garante della privacy italiano comunicò al Comitato Europeo per la protezione dei dati personali tramite una lettera delle insicurezze sull’uso che il governo cinese fa dei dati dei cittadini italiani.

Il Parlamento Europeo approvò il Digital Service Act (che non è ancora stato recepito in Italia), ossia un quadro giuridico moderno che punta alla tutela dei diritti fondamentali degli utenti in tema di privacy e a creare condizioni di equa concorrenza tra le imprese. Questo perché piattaforme e social network utilizzati a livello mondiale possono arrivare a controllare l’economia digitale e di conseguenza a limitare la scelta dei consumatori.

Con la caduta del governo Draghi si è verificato un rallentamento nell’attuazione del Digital Service Act, ma dal 1 gennaio 2024 sarà effettivo in automatico.

Nelle scorse settimane, il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha pensato di fare come gli altri paesi che hanno già attuato il provvedimento di blocco di Tik Tok dai dispositivi dei dipendenti pubblici e di portarlo in Italia, ma successivamente ha interrotto il lavoro.
Nei giorni scorsi, l’idea è stata riproposta con una mozione del PD in Senato. Si vuole infatti tornare a dibattere sull’argomento in Parlamento, data anche l’urgenza e necessità di tutela del diritto alla privacy e della sicurezza nazionale.

Filter Bubble e dark ads: la democrazia è a rischio?

Questo intenso dibattito porta inevitabilmente a indagare su quale sia l’effettivo ruolo dei social network nella società odierna e su quanto incidano sulla formazione e competizione di idee, opinioni e visioni del mondo e della politica.

Al giorno d’oggi, accedere e partecipare al mercato dell’informazione è estremamente facile, veloce e poco dispendioso. Di conseguenza il diritto di manifestare il proprio pensiero, enunciato all’art. 21 della nostra Costituzione, trova molto margine di applicazione.

Ogni individuo può divulgare le proprie idee e diventare un potenziale produttore di contenuto, attraverso flussi di comunicazione dal carattere aperto e globale. Ciò potrebbe portare a pensare che il confronto tra pensieri diversi venga permesso senza problemi nel contesto informatico, tuttavia ci si trova dinanzi ad un ostacolo.

Questa è la filter bubble, ossia la “bolla” nella quale i motori di ricerca e i social media  chiudono noi utenti. In particolare, i loro algoritmi selezionano i contenuti da proporci in modo differenziato in base ai nostri gusti, preferenze e pregiudizi e ci mostrano solo quelli, rafforzando le nostre idee.

L’effetto è quello di creare comunità chiuse nelle proprie opinioni nelle quali hanno tutti la stesse convinzioni che possono condividere tra loro, convincendosi che siano le uniche verità esistenti. In questo modo, ogni idea diversa viene data automaticamente per errata e il dibattito pubblico viene fortemente limitato.

Si può dunque dire che gli algoritmi creino uno psicogramma di ciascuno di noi, ossia un profilo psicologico personale nel quale sono racchiusi tutti i nostri desideri, idee e aspirazioni più profonde, sulla base del quale ci possono mandare contenuti strategici come le dark ads. Queste sono informazioni basate spesso su fake news volte ad influenzare la scelta dell’elettore, rafforzando le sue convinzioni e indirizzandolo verso una determinata preferenza politica.

Il nostro libero arbitrio è quindi ormai solo apparenza? La democrazia è realmente possibile in questo contesto? Con la mozione proposta sarà forse possibile dibattere su questi interrogativi e studiare meglio questi fenomeni.

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L’importanza del Crisis Management in un mondo in difficoltà

Il periodo di crisi socioeconomica che stiamo attraversando dimostra un dato di fatto: le organizzazioni devono non solo saper gestire ogni fattore di instabilità, ma prevedere anche eventuali criticità future. Il rapporto con gli stakeholder si è evoluto negli anni: è ormai necessario venire incontro agli interessi di tutti i gruppi, non solo degli azionisti. Nella maggior parte dei casi, si può essere pronti per una potenziale crisi, se si ha un comparto di Risk Management abbastanza efficiente. Tuttavia, non è possibile stabilire quando e se si manifesterà davvero un evento di tale portata. L’impatto può essere più o meno marcato a seconda di vari fattori, connessi alla risposta dell’azienda: vanno considerate come possibili conseguenze danni d’immagine e contrazione dei profitti, oltre che eventuali ripercussioni legali. Il Crisis Management è, quindi, un ciclo continuo di attività legate alle pubbliche relazioni, volto a definire strategie, azioni e successivi miglioramenti.

Una crisi si può manifestare attraverso tre livelli di rischio: in genere, questi possono anche presentarsi in contemporanea. Il problema più comune è quello che affligge l’equilibrio finanziario, per poi passare alla reputazione dell’impresa. La minaccia più importante riguarda la sicurezza pubblica, dove è coinvolta l’incolumità di una o più persone. In ciascuna di queste situazioni è di vitale importanza la comunicazione, che deve essere coerente e costante prima, durante e dopo la crisi. È buona pratica agire con una risposta veloce, empatica, chiara e concreta. Se mancano questi fattori, il messaggio sarà fallace e darà spazio ad ulteriori speculazioni sulla vicenda, che non faranno altro che aggravare la reputazione del brand. Considerando poi l’effetto generato dal passaparola sui social, è meglio essere pronti ad ogni possibile evenienza.

 

Come non farsi trovare impreparati

Non si può affrontare una qualunque crisi senza una pianificazione adeguata. In primo luogo, è importante identificare le minacce più probabili che potrebbero riguardare ciascun gruppo di interesse. Bisogna stabilire poi i canali di comunicazione più adeguati e le risorse a disposizione, dai luoghi di lavoro ai sistemi informativi utilizzati. Altro aspetto da non sottovalutare è la scelta del team di crisi interno il quale, soprattutto nelle multinazionali, dovrebbe valorizzare differenti nazionalità e culture, per avvicinarsi a punti di vista diversi. In quest’ottica, risulta necessaria una gerarchia ben precisa, con ruoli e compiti prestabiliti, per poter agire in maniera uniforme e incisiva. Un gruppo strutturato presenta al suo interno alcune figure chiave, dal leader con funzione di coordinamento al portavoce, un comunicatore esperto che si espone in prima persona al pubblico. Questo gruppo intreccia diverse discipline e dipartimenti, dal management al personale di marketing, fino ai legali. Inoltre, l’azienda dovrebbe considerare la possibilità di coinvolgere anche professionisti esterni, che possano coordinare e formare il gruppo. Per quanto riguarda poi il lato giuridico, è meglio non concentrarsi troppo sulla paura di controversie: questa ricadrebbe sulla composizione del team e quindi anche sul suo operato. Oltre a ciò, un altro passo importante è rendere efficienti i flussi d’informazione, per fare in modo che le comunicazioni interne avvengano in pochi momenti e dal vivo, così da incoraggiare il lavoro di gruppo e accorciare i tempi. Diventa utile lavorare su un piano di riserva, nel caso in cui vengano meno alcune risorse strategiche. È anche necessario un controllo periodico delle informazioni riguardanti il brand, sia offline che online.

 

Affrontare la crisi, evitando gli errori più comuni

Nel periodo che intercorre la crisi, bisogna prestare ancora più attenzione alla comunicazione verso le parti prese in causa. Partendo dalle analisi fatte durante la pianificazione, è necessario definire i destinatari e i temi materiali a cui si sono dimostrati sensibili. Come già anticipato, è bene lavorare con cura sul contenuto, in modo tale che il messaggio sia comprensibile e colmi la mancanza di competenza degli stakeholder sul tema. Una dichiarazione d’apertura empatica e orientata all’azione permette di mostrare credibilità e autorevolezza ed evitare che si estenda la deriva d’immagine del brand. Da questo punto di vista, le scuse devono apparire sincere e devono prendersi la responsabilità dell’evento. È sempre meglio non fermarsi alle sole parole, ma dimostrare di aver assimilato l’errore con azioni volte in direzione opposta: iniziative di Corporate Social Responsibility hanno un impatto molto più profondo rispetto a semplici dichiarazioni superficiali. Inoltre, le imprese dovrebbero scegliere con cura i trend portati avanti nelle campagne pubblicitarie. Portare argomenti molto sensibili al pubblico (come la salute e i diritti civili) rischia di creare la percezione di svalutare il messaggio per fini promozionali. Perciò, è meglio allontanarsi da questo tipo di temi, o al massimo prestare una profonda attenzione ad essi ed alle reazioni che possono suscitare.

 

Il lavoro non è terminato: la valutazione post-crisi

Quando sta rientrando l’emergenza si ha un ritorno della gestione ordinaria delle attività. La mancanza di pressione di media ed opinione pubblica lascia all’impresa lo spazio per ragionare sul proprio operato e sugli aspetti da migliorare per il futuro. Si arriva così a valutare tempi di risposta, segnali di allerta e reazioni del pubblico. Attraverso una dichiarazione di chiusura, si può stabilire come è cambiata la realtà aziendale dopo questa situazione. Questo processo di analisi verrà poi assimilato nella fase di prevenzione strategica, per essere pronti per un nuovo intervento.

In generale, le crisi nascono principalmente da cause interne all’impresa, ossia dall’errore umano: basti pensare a molti casi di dichiarazioni del personale o di pubblicità che possono essere fraintese. Queste possono essere risolte solo se si dimostra di comprendere realmente il sentimento del pubblico e se ci si muove rapidamente per rimediare all’errore, per quanto possibile. Tuttavia, problematiche come la pandemia e il conflitto in Ucraina derivano da cause esterne: eventi di questo tipo producono un danno molto più marcato, dato che colpiscono un intero ecosistema di imprese e si ha minor margine di preparazione. In questo caso, è sempre più importante saper anticipare i cambiamenti, analizzando quei fattori che possono mettere in difficoltà l’assetto organizzativo. Gli avvenimenti degli ultimi due anni sono la prova lampante di come le crisi possano colpire nel profondo tutte le realtà, dalle multinazionali alle piccole e medie imprese.

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Behavioral Economics: quando le scelte di pancia governano il nostro portafogli

Siamo abituati a descrivere l’uomo come un animale razionale ma riconosciamo anche che spesso molte delle sue azioni non possono essere definite tali. Questo vale persino a proposito della pulsione con cui molti individui affrontano le loro scelte consumistiche.

La “behavioral economics” è una branca dell’economia che si occupa di studiare i fattori sociali, psicologici ed emotivi che influenzano le decisioni umane in relazione al comportamento consumistico e finanziario.

Nonostante Adam Smith, padre dell’economia politica classica, ne avesse già accennato verso la fine del 1700, intere generazioni di economisti si sono rifiutati di affrontare il problema finchè la behavioral economics è balzata agli onori della cronaca grazie all’interesse suscitato dall’assegnazione di alcuni premi Nobel che l’hanno applicata a svariati campi: marketing, finanza, scienze politiche e sociali.

Di fatto, la behavioral economics non nega i capisaldi delle teorie fino ad ora postulate ma aggiunge ulteriore complessità alla loro interpretazione. Per trovare un parallelismo pensiamo alle leggi sulla gravità postulate da Newton: sono rimaste valide finché il loro campo di applicazione è rimasto confinato al mondo macroscopico ma quando si è giunti allo studio delle particelle elementari si sono rivelate non applicabili. La stessa cosa avviene nel campo delle teorie economiche classiche che si rivelano esatte in macroeconomia, quando si approfondiscono verso il particolare non lo risultano più.

Vediamo nello specifico di che cosa si tratta con alcuni esempi.

Per la legge della domanda e dell’offerta quando il prezzo di un articolo è molto basso gli individui tendono a comprarne in minore quantità e questo è un comportamento razionale dettato dal fatto che il prezzo viene giustificato con una bassa qualità. Un esperimento effettuato in California ha dimostrato che quando i clienti di un ristorante assaggiavano un vino a loro insaputa scadente ma venduto ad un prezzo molto alto lo ritenevano necessariamente di alto livello.

Rimanendo nell’ambito della comunicazione commerciale e del marketing, un alimento light con solo il 25% di grassi sarà più venduto di uno con il 75% di grassi in meno; un biglietto della lotteria che propone un vincitore su 1000 sarà più acquistato di uno che dichiara 999 perdenti a fronte di un vincitore solo; un abbonamento ad un fitness club che costa solo un euro al giorno sarà più allettante di uno che costa 365 euro all’anno. Un qualsiasi bene di consumo che costi qualunque cifra “ ,99 cent” ci darà l’impressione di farci risparmiare parecchio rispetto ad un altro che costi cifra tonda.

A questo punto si potrebbe pensare che la behavioral economics serva solo per abbindolare i consumatori ed invece non è così: la “Nudge theory” ovvero la teoria del pungolo, meglio conosciuta nella nostra lingua come “Teoria della spinta gentile”, utilizzando metodi di comunicazione e azioni virtuose, incoraggia i consumatori senza che loro se ne rendano conto ad effettuare scelte vantaggiose per le loro tasche e per la loro salute. Molti programmi, soprattutto negli USA, si sono rivolti infatti alla lotta contro il rischio di gravidanze precoci nella popolazione adolescente o a quella contro l’obesità.

Soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, il comportamento umano in relazione ai beni di consumo e alle strategie di risparmio è diventato alquanto irrazionale fino a culminare nella crisi economico finanziaria del 2008. In questo senso la behavioral economics ha molto da dirci aiutandoci nel comprendere come e perché prendiamo alcune decisioni molto importanti e con ripercussioni sul futuro dei nostri portafogli. Considerare le emozioni, anziché negarle, ci aiuta a comprendere come noi stessi ci comportiamo in maniera realistica e non semplicemente appellandoci a dei modelli che ci suggeriscano le scelte più razionali da fare.

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Neuromarketing al WMF: strumenti per distinguersi nell’epoca del deficit d’attenzione

Al giorno d’oggi diventa sempre più difficile per le aziende catturare l’attenzione del proprio target di riferimento, dato che queste devono farsi notare in un lasso di tempo sempre più ristretto.

In questo contesto subentrano gli studi introdotti dal Neuromarketing, che aggiungono conferme alla strategia comunicativa grazie alle neuroscienze: l’obiettivo finale è prevedere e influenzare il processo d’acquisto dei consumatori. Questo tema è stato trattato il 16 giugno al Web Marketing Festival di Rimini da Giuliano Trenti, presidente di NeurExplore, un’agenzia specializzata nell’applicazione delle scienze comportamentali al marketing.

Il suo speech ha spaziato su aspetti strategici diversi: il primo è il contagio emotivo. Una buona comunicazione è in grado di trasferire emozioni al pubblico destinatario del messaggio, tramite coinvolgimento e persuasione. Secondo recenti studi, in specifiche situazioni d’acquisto può essere utile utilizzare quelle che Trenti descrive come “parolacce”, al fine di trasmettere fiducia e veridicità nella comunicazione. Tuttavia, è importante non andare oltre un limite di tre parole: si ha il rischio, infatti, di ottenere l’effetto opposto e allontanare il consumatore. Il fattore cruciale è dato dal contesto decisionale: diventa quindi fondamentale intercettare meccanismi attrattivi adatti al proprio target che vadano a stimolare il sistema delle ricompense attraverso il rilascio di dopamina. All’atto pratico, è stata analizzata la reazione scaturita dalle recensioni: l’esaltazione delle qualità dei propri prodotti, senza mettere in mostra commenti positivi di terze parti, rende il potenziale cliente meno propenso all’acquisto.

Il secondo elemento analizzato è stata la nostalgia, ossia il sentimento che unisce felicità e tristezza. È stato dimostrato che questa sensazione ha un marcato effetto positivo, soprattutto quando vengono rievocate esperienze comuni del passato: lo storytelling, accompagnato da un elevato rilascio di dopamina, genera una maggiore disponibilità ad acquistare. Una narrazione che fa leva sulla nostalgia produce risultati migliori rispetto ad una con mera finalità informativa, incentrata unicamente sulle qualità del prodotto.

Un altro argomento trattato è stato l’aspetto formale dei contenuti. Un caso particolare è dato dall’utilizzo di immagini di bambini o animali, che generano il cosiddetto “effetto tenerezza” in chi le guarda. Questo accorgimento ha molto successo nel coinvolgere le persone in iniziative umanitarie e sociali, ma è anche utile nel far tollerare maggiormente i disservizi e i malfunzionamenti. Inoltre, i video verticali risultano più fruibili al pubblico, soprattutto da mobile: è quindi importante adattare i formati delle ads per ottenere una maggiore conversione. Oltre a ciò, è stato constatato che per un e-commerce è fondamentale tenere a mente che la presentazione dinamica di un prodotto, con l’aggiunta della rotazione, influenza di gran lunga le scelte d’acquisto rispetto ad una visuale statica.

Dal punto di vista dei social, è stato poi analizzato il profilo degli influencer e delle metriche. Per quel che riguarda i follower, i micro-influencer vengono percepiti più affidabili rispetto a quelli con un seguito maggiore, dato che si avvicinano di più al loro pubblico e hanno una maggiore probabilità d’influenzare le sue scelte. Inoltre, nell’ottica della previsione di un acquisto la quantità di commenti rappresenta il segnale più importante da considerare: è necessario, perciò, porre l’attenzione sulla cura del lato testuale del contenuto, in modo tale da coinvolgere e stimolare l’interazione. Quest’ultimo tema è legato al punto successivo del discorso di Trenti: per creare nuove abitudini sostenibili e stimolare un gruppo a compiere una determinata azione, possono essere utilizzati alcuni meccanismi di grande efficacia. Tra questi, si hanno la riprova sociale e la peer pressure, entrambi riconducibili alla tendenza delle persone ad essere influenzate dal comportamento di altri soggetti simili a loro.

L’insieme dei fattori esaminati sono delle leve determinanti, soprattutto quando il consumatore non ha un’idea chiara di quale sia la decisione migliore da prendere: in questo contesto, la scelta del consumatore è pienamente influenzabile. Intervengono quindi tre bias cognitivi: l’effetto von Restorff, basato sull’associazione di un elemento insolito ad altri simili tra loro; l’avversione agli estremi in un range di scelte, che insieme all’effetto esca indirizza l’acquisto verso un’opzione specifica; il prezzo come parametro per definire l’aspettativa di piacere, a causa del quale un’offerta più costosa è ritenuta di qualità migliore. Conoscendo tutti questi accorgimenti, il Neuromarketing può fornire alle aziende degli strumenti aggiuntivi per potersi distinguere all’interno del proprio settore e guidare il target di riferimento nel percorso decisionale.

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Le novità di giugno su Instagram

Il 7 giugno Adam Mosseri, Head of Instagram dal 2018, ha annunciato tramite il suo profilo Twitter due interessanti novità di Instagram che riguardano sia il feed che i Reel.

 

I Reel, che lo scorso anno avevano raggiunto una durata massima di 60 secondi, ora potranno durare fino a 90 secondi e sarà possibile utilizzare qualsiasi audio presente sul dispositivo del creator. Inoltre, sarà possibile in fase di pubblicazione aggiungere degli sticker interattivi, finora riservati alle storie. Come dichiarato da Mosseri, l’obiettivo è permettere ai creator di raccontarsi di più e interagire maggiormente con la loro community.

 

L’altra novità è la possibilità di fissare in alto al proprio profilo fino a 3 elementi, scegliendoli tra post e Reel già pubblicati, in modo che il creator possa personalizzare il più possibile il proprio profilo su Instagram.
Come dichiarato sul profilo ufficiale Creators, questa nuova funzione aiuterà a farsi conoscere meglio dai follower, mostrando loro i post preferiti.

 

Se siete dei creator, affinate la creatività e state pronti: con IG le novità sono all’ordine del giorno!

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I “finfluencer”: un po’ broker e un po’ Tiktoker

Secondo un rapporto del CENSIS la pandemia, tra i suoi effetti positivi, ha portato a un boom nell’utilizzo di dispositivi elettronici e social network in tutte le fasce d’età. In generale ciò ha rappresentato una vera e propria salvezza dall’isolamento forzato e allo stesso tempo ha consentito a molte figure professionali di ritagliarsi un nuovo posto sul mercato o di riciclarsi come comunicatori nei più svariati settori.

È questo il caso dei finfluencer, cioè dei broker che sui social spacciano consigli finanziari incassando da 2.500 a 20.000 dollari a post.

Tuttavia spesso non si tratta di reali esperti di finanza. Ad esempio Jack Spencer, un aitante ex istruttore di fitness irlandese, con l’avvento della pandemia ha deciso di dare un taglio alla sua vita precedente ed ha iniziato a pubblicare video a tema finanziario su Instagram. Oppure Mrs Dow Jones, nome di battesimo Haley Sacks, da ospite del David Letterman Show in qualità di comica, ha poi deciso già nel 2017 di dedicarsi al business online creando assieme ad un team super qualificato una vera e propria macchina da guerra capace negli ultimi tempi di far concorrenza ai big della finanza e grazie alla quale firma contratti milionari con colossi come Fundrising.

Per fortuna ci sono on line anche veri e propri esperti di finanza che, stufi di profitti ritenuti non all’altezza del loro profilo, hanno deciso di provare a lanciarsi sul web ottenendo risultati strabilianti. Basti pensare che alcune piattaforme di investimenti ormai se li contendono. La guerra a colpi di post e Tiktok da trenta secondi è tra Austin Hankwitz che collabora con Betterment e Mrs Dow Jones che pubblica per Wealthfront. Entrambe queste piattaforme si propongono come ultima frontiera del roboadvisoring ovvero quella tecnologia che di fatto sostituisce la figura del consulente finanziario con uno strumento di investimento automatizzato basato su calcoli statistici. Appare evidente che però chi sta nella stanza dei bottoni ha comunque bisogno di una figura più o meno professionale per rendere credibili e appetibili gli investimenti proposti. Ed è proprio questo il punto. La chiave per il guadagno risiede proprio nella strategia comunicativa utilizzata dai finfluencer. Spesso si presentano come gente comune che è riuscita ad ottenere ricavi mostruosi dai propri investimenti, arrivando a potersi permettere un parco macchine di lusso ed un patrimonio immobiliare da capogiro. Peccato che spesso si tratti di automobili o ville noleggiate per poche ore, giusto il tempo per girare un video.

Ovviamente il fenomeno si sta diffondendo anche nel nostro paese, soprattutto in quel settore estremamente volatile rappresentato dalle criptovalute. Secondo un’indagine del Sole24ore, il pubblico dei finfluencer è in costante aumento e YouTube rappresenta la piattaforma web di pubblicazione e condivisione di contenuti più utilizzata.

Alcuni social, ad esempio Tiktok, hanno inserito una clausola che impone ai finfluencer farlocchi di non ammantarsi del titolo di consulenti finanziari o di annunciare esplicitamente se uno dei loro contenuti ha scopi meramente pubblicitari. I furbacchioni del web però hanno risposto dirigendo le loro mire su altri canali di comunicazione.

Del resto la regolamentazione delle figure finanziarie pone le sue basi legislative in un’epoca in cui nessuno avrebbe immaginato che potesse generarsi un fenomeno simile. Se vi state chiedendo se qualcuno si è già accorto che è necessario regolamentare l’attività di questi profili nel mare magnum dei social, la risposta è SÍ. Questa volta è l’Australia a fare da apripista. Con una comunicazione che risale a marzo di quest’anno l‘Australian Securities and Investments Commission, una sorta di organo governativo a tutela dei consumatori, ha stilato delle linee guida per proteggere gli investitori e i veri trader. Chi mette a rischio i risparmi dell’utenza social rischia, al momento, fino a 5 anni di carcere.

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Arrivano le reaction su WhatsApp

Dal 5 maggio 2022 su WhatsApp è stata introdotta la possibilità di reagire a un messaggio con un’emoji: l’annuncio è stato fatto direttamente dal fondatore di Meta, Mark Zuckerberg, sulla sua pagina Facebook: “Reactions on WhatsApp start rolling out today 👍❤️😂😮😢🙏”.

Per inserirle basterà cliccare su un messaggio ricevuto e scegliere dal pop-up che comparirà l’emoticon che meglio esprime il nostro stato d’animo.

Disponibili fino a ora solo come test nella versione beta dell’applicazione dalla versione 2.22.8.3, nei prossimi giorni le sei reaction saranno disponibili per tutti e, come specificato da Zuckerberg in un commento, “arriveranno presto altre emozioni”. Will Cathart, Head of Whatsapp del gruppo Meta, aveva già anticipato il 14 aprile questa nuova funzione, specificando che dopo il primo lancio sarebbero state aggiunte emoji con diverse tonalità della pelle.

 

 

Sul blog aziendale viene chiarito lo scopo di questa nuova funzione: Le reazioni sono rapide e divertenti, riducono il sovraccarico nei gruppi e continueremo a migliorarle aggiungendo una gamma ancora più ampia di espressioni in futuro”.

Le novità però non si limitano alle reaction: dai primi giorni di maggio è anche possibile inviare file fino a 2 GB (il limite precedente era fissato a 100 MB): è consigliato utilizzare il Wi-Fi e durante il caricamento e scaricamento del file sarà visibile una stima del tempo di trasferimento. Inoltre,  è in corso di integrazione la possibilità di aggiungere fino a 512 persone a una chat di gruppo.

Non ci resta che aspettare che l’aggiornamento sia disponibile per il nostro dispositivo e scoprire tutte le prossime novità che WhatsApp ha in serbo per noi.

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Instagram introduce gli abbonamenti a pagamento

Ad alcuni creator è stata data la possibilità di offrire un abbonamento mensile ai follower più affezionati, condividendo contenuti esclusivi a pagamento.

 

Se ne parlava da diverso tempo, e sembra che ora sia diventato realtà: Instagram introdurrà la possibilità di far pagare i contenuti dei creator ai follower.

A dirlo è Adam Mosseri, capo di Instagram dal 2018, il quale ha annunciato su Twitter che l’avvio della nuova funzionalità “Subscriptions” permetterà ai creatori di contenuti di monetizzare il loro lavoro e di avere un rapporto più stretto con i follower attraverso delle esperienze esclusive: potranno condividere dirette e storie a un pubblico selezionato, che sarà contraddistinto da un badge.

 

Per il momento, questa fase test è stata riservata a dieci creator statunitensi l’attore e influencer @alanchikinchow; l’astrologa @alizakelly; la coach spirituale @bunnymichael; il creator @donalleniii;  il creator @elliottnorris; il ginnasta @jackjerry, l’atleta olimpica @jordanchiles;  la ballerina, attrice e modella @kelseylynncook; l’XR (realtà estesa), il creator @lonnieiiv, la cestista @sedona._.

Ognuno potrà scegliere a quale prezzo offrire l’abbonamento in un range da $0.99 a $99.99 ($0.99, $1.99, $2.99, $4.99, $9.99, $19.99, $49.99 o $99.99): gli utenti potranno accedere a dirette e storie a loro riservate, riconoscibili grazie a una cornice viola, e i creatori di contenuti potranno interagire con loro in maniera diretta perché gli abbonati saranno contrassegnati da un badge viola accanto al loro nickname.

 

Mosseri ha affermato che “i creator fanno quello che fanno per lavoro, ed è importante che i loro guadagni siano prevedibili. Gli abbonamenti sono il modo migliore per averli”, al contrario di quanto avviene ora in cui i guadagni sono legati ai risultati dei singoli contenuti pubblicati, che per loro natura sono instabili. Secondo Tech Crunch, Instagram fino al 2023 non tratterrà alcuna percentuale su questi guadagni: ma sarà sempre così?

Nell’attesa, siamo curiosi di vedere se anche nel resto del mondo risponderà positivamente a questa nuova feature.

 

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Instagram fa marcia indietro: nel 2022 potrebbe essere ripristinato il feed cronologico

Adam Mosseri, a capo di Instagram dal 2018, l’8 dicembre 2021 ha dichiarato al Congresso che nei prossimi mesi verranno apportate significative modifiche al feed degli utenti, in modo da migliorare la loro esperienza: si potranno scegliere dei profili “Preferiti” e la visualizzazione in ordine cronologico dei contenuti.

Com’era prima e com’è adesso: il cambiamento dell’algoritmo di Instagram

È dal 2016 che il feed di Instagram non è più in ordine cronologico, ma basato sull’engagement, favorendo così la visualizzazione di contenuti che più probabilmente attireranno la nostra attenzione. La tipologia di contenuti da proporre, l’algoritmo lo stabilisce in base alle reazioni degli utenti che ci hanno preceduto (quanti commenti, mi piace e salvataggi sono stati effettuati) e favorendo i profili con cui interagiamo maggiormente. Secondo alcuni studiosi questo ha favorito la viralità di contenuti polarizzanti, violenti e fake news.

Il dirigente è intervenuto a seguito dell’inchiesta pubblicata dal Wall Street Journal in cui la società Meta è stata accusata di negligenza verso la salute mentale degli adolescenti: in particolare, fra i documenti consegnati dall’ex dipendente Frances Haugen, una nota interna sosteneva che il feed engagement-based, servisse ad aumentare il tempo trascorso dagli utenti sull’applicazione.

Nel corso dell’audizione presso il Congresso, Mosseri ha rivelato sia la novità riguardo il feed, sia le azioni promosse da Meta per salvaguardare i più giovani, come strumenti di controllo parentale e l’essere “più rigorosi su ciò che consigliamo agli adolescenti nella ricerca, esplora, hashtag e account suggeriti”: un grande cambio di direzione, considerando che sul blog aziendale era stato pubblicato lo scorso giugno un articolo per cui, secondo Mosseri, il feed in ordine cronologico “rende impossibile per la maggior parte delle persone vedere tutto, figuriamoci quello che interessa loro davvero”.

Tuttavia, non sarà un vero e proprio ritorno al passato. Come dichiarato dall’account Twitter “Instagram Comms”, ovvero il profilo ufficiale per le pubbliche relazioni di Instagram, non ci sarà un cambiamento obbligatorio per tutti gli utenti, bensì sarà data la possibilità di scegliere dei profili “Preferiti” che avranno la priorità rispetto gli altri, visualizzati in ordine cronologico, in modo da dare il controllo alla singola persona su quella che è la sua esperienza sul social network.

Non ci resta che aspettare i primi mesi del 2022 per scoprire quali novità ci riserverà Instagram.