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Ambiente, società e tecnologia

Inquinamento digitale: l’impatto della nostra vita online sull’ambiente

Quando si parla di inquinamento e riscaldamento globale tendiamo a considerare, soprattutto, gli effetti che i mezzi di trasporti e le industrie hanno su di essi, dimenticando, invece, quelli che sono gli impatti sul pianeta causati dalle nostre attività online.

Il digitale, ormai parte integrante della quotidianità privata e lavorativa di ognuno, se da un lato ha contribuito al progresso odierno e a superare alcuni disagi, per esempio durante la pandemia, dall’altro ha comunque avuto importanti ripercussioni sui consumi, in particolare quelli di energia elettrica. L’elettricità, infatti, è una risorsa necessaria per la produzione di dispositivi tecnologici e il funzionamento dei server e, al tempo stesso, utile a data center e cloud per acquisire, elaborare e immagazzinare dati, così come per permettere alla rete di arrivare in tutto il pianeta. Tuttavia, se non prodotta da fonti rinnovabili, questa è causa di ingenti emissioni di Co2 nell’atmosfera. Dunque, possiamo parlare, in questo caso, di inquinamento digitale, ossia la diffusione di anidride carbonica derivante dalla produzione, lo smaltimento e l’utilizzo di componenti del settore dell’informazione e della comunicazione tecnologica.

Gli studi e le ricerche condotte finora, pur non essendo ancora così numerose e presentando, talvolta, dati e misurazioni in contrasto tra loro (si pensi al 4% di emissioni prodotte dal digitale dichiarato dallo studio francese The Shift Project, in netta differenza con i valori stimati tra l’1,8 e il 2,8% apparsi all’interno di un articolo della rivista scientifica The Patterns), hanno comunque messo in evidenza come il fenomeno dell’inquinamento digitale sia destinato ad aumentare e che, qualora si considerasse Internet come uno stato nazionale, questi sarebbe tra i paesi più inquinanti del mondo.

I grandi colossi dell’informatica hanno già dichiarato di investire e promuovere iniziative volte a efficientare e rendere sempre più green la loro produzione di energia elettrica. Per creare una maggiore consapevolezza sul tema anche a livello individuale sono stati realizzati alcuni strumenti utili, come la demo gratuita Karma Metrix, ideata dalla società di digital marketing AvantGrade, utile per consentire all’utente di misurare la quantità di Co2 prodotta dai siti web. Inoltre, alcuni enti come la Fondazione per la Sostenibilità Digitale ed Enel hanno anche stilato dei decaloghi di sostenibilità digitale, un insieme di regole (pulizia delle mail, come utilizzare i dispositivi a fine vita, uso consapevole delle pagine web, ecc.) che i singoli utenti potrebbero rispettare per rendere la propria vita digitale il più sostenibile possibile.

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Ambiente, società e tecnologia

Come può l’innovazione digitale cambiare il settore dell’allevamento?

L’innovazione digitale raggiunge anche i settori che consideriamo più tradizionali e meno votati all’alta tecnologia. È il caso dell’allevamento: sono molti gli esempi di prodotti e servizi progettati dalle aziende e sostenuti dalla ricerca scientifica pensati per rispondere all’esigenza della sostenibilità e alla necessità di garantire la salute umana e animale.

Secondo quanto riportato dal sito ourworldindata.org, la produzione di alimenti di origine animale è aumentata significativamente nel ultimi cinquant’anni (di tre volte quella della carne, di due volte quella del latte). Inoltre, il loro consumo tende ad aumentare in modo direttamente proporzionale alla ricchezza dei consumatori. Se da una parte sentiamo parlare dell’esigenza di ridurne la quantità presente nella dieta, dall’altra è comunque necessario portare innovazione all’interno di un settore che oggi ha un ruolo chiave, ma che ha un grande impatto sul pianeta.

“One Health”: che cosa significa e come può guidare l’innovazione?

L’innovazione digitale, oltre ad essere fondamentale per rendere più efficienti i processi produttivi, sarà determinante per raggiungere il principio che viene definito “One Health”. Sostenuto da organizzazioni come FAO e OMS, mostra perché non si possa considerare obiettivi separati la salute umana, animale e ambientale: dato che sono interdipendenti, una salute unica può essere raggiunta solo grazie ad un approccio interdisciplinare. Trascurare la salute animale significa quindi privarsi di uno dei tre fondamenti. L’innovazione digitale, con la sua trasversalità e la sua applicabilità a problemi molto diversi può quindi diventare una risorsa preziosa per raggiungere la salute globale ed essere alleata di tutte le discipline che già se ne occupano, come, per esempio, la medicina e le scienze ambientali.

Tecnologia contro lo spreco e per la sicurezza alimentare con il progetto MOLOKO

Essere in grado di rilevare un problema in un prodotto alimentare all’inizio della filiera, in modo rapido ed economico, meglio ancora se automaticamente, può rivelarsi molto vantaggioso. Se un’anomalia viene trovata troppo tardi, si rischia di perdere interi lotti, anche se con i giusti strumenti si sarebbe potuto evitare lo spreco di risorse.

Il progetto MOLOKO, partito a giugno 2018, ha partecipato a fine marzo 2022 al Lopec, evento internazionale dedicato al mondo dell’elettronica stampata e propone una possibile soluzione a questo problema nel mondo della produzione del latte vaccino. Si tratta di un biosensore direttamente installabile all’interno delle mungitrici ed in grado di rilevare in autonomia e in continuazione diverse sostanze presenti oltre le soglie di sicurezza stabilite. Il sensore non è ancora stato commercializzato su larga scala, ma i risultati raccolti fino ad ora indicano che potrebbe essere uno strumento valido anche per individuare patologie nei singoli animali e intervenire tempestivamente.

Ridurre le emissioni di metano: il progetto della startup Zelp

Il gas metano è un gas determinante per il riscaldamento climatico: secondo quanto riportato dalla IAE, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, nel suo report del 2020, una tonnellata di metano ha lo stesso potere climalterante (cioè di essere un agente responsabile di un cambiamento nel clima) di una quantità di anidride carbonica compresa tra le 28 e le 36 tonnellate. Inoltre, se consideriamo le emissioni di metano dovute alle attività umane, un quarto di esse proviene dal settore agricolo: una parte significativa è causata dalla cosiddetta “fermentazione enterica” dei bovini.

C’è una startup londinese, Zelp, che propone un’imbracatura da far indossare ai bovini in corrispondenza del collo e della bocca (qui potete vederne un’immagine). Ha diversi dispositivi integrati, tra cui uno strumento che trasforma il metano emesso dalla bocca e dalle narici in anidride carbonica e vapore acqueo e che riesce a utilizzare l’energia prodotta dalla trasformazione per funzionare più a lungo, un sensore in grado di registrare ed elaborare, grazie all’intelligenza artificiale, grandi quantità di dati sull’animale che lo indossa, e un’app che permette agli allevatori di esserne sempre aggiornati. Attualmente questa tecnologia è in fase di test: ci si aspetta che possa garantire il benessere animale e che non contenga parti difficilmente riciclabili.

Questi progetti fanno parte di un insieme molto più grande di piccole soluzioni innovative per il settore dell’allevamento e che contribuiscono al benessere di persone, ambiente e animali. Non dobbiamo scordare che nessuna di queste tecnologie è completa e definitiva: nel caso di Zelp, il suo prodotto non potrà da solo risolvere il problema delle emissioni degli allevamenti, che bisogna cercare di ridurre servendosi anche di altre strategie. Ogni piccola soluzione deve essere integrata a moltissime altre se si desidera raggiungere la sostenibilità

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Economia, StartUp e Fintech

Impennate e picchi: da cosa dipende il prezzo del petrolio?

A più di un mese dall’inizio del conflitto che ha interessato il vicino Oriente sono state diverse le conseguenze a cui il vecchio continente è andato incontro, tra queste c’è sicuramente l’aumento del costo delle fonti energetiche. Le risorse come gli olii, il gas e affini sono dei beni peculiari e la loro particolarità si riflette anche e soprattutto nel modo in cui si determina il loro prezzo. Come per tutti i beni, anche per questi una parte del prezzo viene determinata dal mercato ma, diversamente da quanto avviene per gli altri, per queste fonti energetiche, dette fonti stock in quanto sono risorse esauribili, un’altra parte dipende dalla natura stessa di questi fattori produttivi e dalla situazione di scarsità che li caratterizza.

 

Fonti stock

In virtù di quanto detto finora, nelle previsioni a lungo termine si è costretti a tenere conto che le fonti stock hanno una certa rarità fisica e questo si riflette non solo sul prezzo che gli si attribuisce oggi ma anche sul prezzo da attribuire loro nel futuro. Questa è una delle ragioni, ma non la sola, che caratterizza il processo di pricing nelle fonti stock rispetto ai comuni beni privati.

Gli economisti, nel corso del tempo, hanno convenuto sul fatto che il prezzo finale delle fonti stock sia determinato, in maniera prioritaria ma non del tutto esclusiva, sulla base dei seguenti elementi:

  • Costo tecnico di produzione
  • Rendita differenziale
  • Rendita di monopolio
  • Rendita di scarsità

Le voci di prezzo

Il costo tecnico di produzione è quello che caratterizza tutti i beni e ricomprende al suo interno alcune voci come i costi dipendenti dalle condizioni geologiche del terreno, dalla allocazione geografica e dalla tecnologia disponibile per il lavoro.  Si fanno rientrare all’interno del costo tecnico anche il tasso di profitto normale ossia quel profitto minimo che il produttore avrebbe guadagnato se invece che investire i suoi capitali sull’estrazione del petrolio li avesse collocati in titoli di stato.

Il concetto di rendita differenziale affonda le sue radici nella storia. Fu teorizzato per la prima volta nel 1777 dallo scozzese James Anderson ma raggiunse l’auge, nel 1815, con Ricardo che all’interno di “Essay on the influence of a low price of corn on the profits of stock” lo applicava alla rendita dei campi agricoli. La portata dei suoi studi in materia la si può intuire dal fatto che, ancora oggi, questo tipo di rendita viene anche ricordata come rendita ricardiana. Infatti, secondo l’economista britannico il prezzo dei beni sul mercato veniva fissato dal terreno definito marginale ossia quel terreno che risultava essere peggiore in termini di comodità e/o fertilità. Chi possedeva tali terreni otteneva dalla vendita dei beni una rendita nulla invece tutti coloro che possedevano terreni più comodi o più fertili erano in grado di accaparrarsi “qualche soldo” in più di quelli spesi per la produzione dei beni. Era questa rendita positiva a essere definita rendita differenziale.

Invece, con rendita di monopolio si intende il margine di extra-profitto che va al produttore quando si è in una situazione in cui il mercato non è perfettamente concorrenziale. In pratica, chi possiede una grande quantità di risorsa esauribile trova conveniente non immetterla tutta insieme sul mercato anche se questa possibilità gli permetterebbe di sbaragliare tutta la concorrenza. È molto più conveniente produrre un po’ meno affinché rientrino sul mercato alcuni “campi marginali”: è proprio l’entrata sul mercato di produttori con costi più alti che assicura al primo, che avrebbe potuto esercitare un regime di monopolio, un guadagno maggiore.

La rendita di scarsità, come suggerisce il nome, è quella che si genera quando l’offerta non è adeguata a coprire la domanda presente sul mercato. È proprio la percezione della scarsità della risorsa a permettere l’aumento dei prezzi e nel campo petrolifero questo si traduce nella generazione di una rendita che potrà poi essere investita nelle attività di esplorazione. Quando la domanda tornerà a allinearsi all’offerta questo tipo di rendita tenderà a essere annullata riportando la situazione a un equilibrio simile a quello della situazione iniziale.

 

Cosa accade realmente nel mercato delle fonti non rinnovabili?

Finora è stata fatta un’analisi delle “voci di prezzo” ma è possibile riassumere quello che vediamo all’interno del mercato delle fonti non rinnovabili attraverso la compenetrazione di due fenomeni.

Il primo è proprio la determinazione del prezzo della risorsa a partire dall’incontro della domanda e dell’offerta. Infatti, quando la domanda è più alta rispetto all’offerta si registrano i picchi di prezzo riconducibili alla limitata disponibilità della risorsa; quando invece, si è in una situazione in cui la domanda è più bassa rispetto alla offerta quella che si registra è una diminuzione del prezzo. Ad esempio, durante la pandemia, in Europa, sono state moltissime le attività che sono state costrette ad arrestare la loro produzione questo ha generato una vera e propria improvvisa abbondanza delle fonti fossili all’interno del mercato che ha determinato un importante crollo dei prezzi. Un caso antipodale è quello che ha fatto seguito al conflitto russo-ucraino che ha fatto percepire scarse, soprattutto all’Europa, le risorse stock e questo ha decretato un sensibile aumento del prezzo che poi ha avuto come ripercussione una lievitazione del costo derivati delle stesse.

Il secondo fenomeno che ha un ruolo importante nella determinazione del prezzo è lievemente più complicato anche se è molto più materiale: si tratta del legame tra il prezzo della risorsa e i cicli di investimento nella sua esplorazione. Ad esempio è stato dimostrato che il prezzo del petrolio dipende dai cicli di investimento dai quali si distacca con un certo ritardo.

Quanto illustrato finora è il frutto, o meglio la sintesi, di alcune delle più importanti teorie economiche degli ultimi secoli. Come sempre le teorie economiche sono crasi di etica, diritto, filosofia e storia per questo non devono essere elevate al ruolo di assiomi ma possono essere viste come spiegazioni postume ai fenomeni all’interno dei quali l’uomo è immerso. Sebbene quelle attuali sembrerebbero spiegare, almeno in parte, i fatti a cui si assiste c’è sempre da tener conto che gli ultimi anni sono stati teatro di grandi sconvolgimenti. Non è detto che queste teorie “funzionino” ancora a lungo e a breve potrebbe giungere il momento di farne delle nuove.

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Ambiente, società e tecnologia

Quando la fabbrica diventa “predittiva”: intervista a Chiara Tacco, Head of Growth di MIPU

“Prevenire è meglio che curare”, recita il noto proverbio. Se non fosse vero solamente per le persone, ma anche per la gestione di una fabbrica? Oggi più che mai siamo informati su quanto la sostenibilità dell’industria in tutti i suoi aspetti sia fondamentale a livello economico, sociale e ambientale. Sappiamo anche che la digitalizzazione si sta rivelando, in moltissimi settori, una valida alleata della sostenibilità: come possono quindi essere uniti questi due mondi?

Per approfondire il valore dell’innovazione digitale e soprattutto delle tecnologie predittive  e dell’intelligenza artficiale applicate al mondo della produzione industriale (e non solo) abbiamo intervistato Chiara Tacco, Head of Growth presso MIPU.

 

Qual è il Suo ruolo all’interno di MIPU?

Sono Head of Growth di MIPU: sono responsabile commerciale e marketing. Inoltre svolgo presso i nostri clienti il ruolo di digital transformation advisor, cioè mi occupo dell’impostazione dei piani di trasformazione derivanti dall’applicazione della nostra tecnologia.

La nostra redazione aveva avuto l’opportunità di conoscervi ai Digital Innovation Days del 2021: allora era emerso il concetto di “fabbrica predittiva” come obiettivo principale dell’azienda. Che cosa significa e quali tecnologie mettete in campo per raggiungerla?

MIPU è un “predictive hub”: la nostra visione consiste nello sfruttare appieno le potenzialità derivanti dalle tecniche predittive e dall’intelligenza artificiale per supportare l’attività delle aziende e delle città. Quando parliamo di fabbrica predittiva, parliamo di una fabbrica che ha la possibilità di conoscere con cinque o sei mesi di anticipo eventuali guasti meccanici o elettrici all’interno dei propri macchinari, riuscendo a ottimizzare le risorse in campo e quindi a migliorare l’attività delle persone e l’utilizzo delle risorse.

A livello tecnologico, abbiamo una piattaforma proprietaria, Rebecca, strutturata a livello architetturale con un primo layer di IoT (“Internet of things”) dove andiamo a raccogliere tutti i dati provenienti dalle macchine. Questo si interfaccia con un secondo layer di intelligenza artificiale, basata su cinque ambiti principali: uno dedicato alla manutenzione predittiva, uno legato alla gestione della parte di produzione, uno alla logistica, uno alla qualità del prodotto e un ultimo legato al consumo dei componenti. Questi ambiti di intelligenza artificiale permettono all’azienda di monitorare lo stato di salute dei propri asset , cioè dei macchinari e dei loro componenti, e i consumi energetici.

 

Ci sono settori specifici che possono beneficiare delle tecnologie predittive o possono essere trasversali rispetto a vari tipi di industrie?

Siamo completamente cross industry: possiamo applicare e abbiamo applicato le nostre tecnologie in tipi di industrie molto diversi. Dall’Oil&Gas all’energia, dalla parte di machinery al settore pharma e al fashion, abbiamo esempi di applicazione vari e molteplici, perché l’intelligenza artificiale e le tecniche predittive di campo possono essere applicate ovunque. Le applicazione specifiche possono andare dalla previsione di onde di piena all’interno di bacini idroelettrici alla manutenzione predittiva di componenti che compongono la linea di produzione di una fabbrica, che può essere un’acciaieria così come una fabbrica alimentare.

Avete notato un cambiamento nella sensibilità dei vostri clienti e del pubblico in generale nei confronti dell’innovazione digitale? Pensa che MIPU abbia contribuito al cambiamento?

Faccio un passo indietro: MIPU non è un acronimo, ma si tratta dell’unione di due parole giapponesi che significano “guardare oltre gli orizzonti”. Quando Giulia Baccarin, CEO attuale e founder di MIPU, ha iniziato nel 2008 a parlare di fabbrica predittiva e tecniche predittive, si trattava di un approccio veramente pionieristico, soprattutto per quanto riguarda l’Italia.

Ciò che abbiamo portato avanti è un progetto di sensibilizzazione grazie ai corsi della nostra scuola di fabbrica predittiva, per portare una sensibilità e un linguaggio comune tra i nostri clienti. Contestualmente  abbiamo visto negli ultimi anni una crescita dell’interesse sempre maggiore verso i temi dell’intelligenza artificiale (ormai una parola molto utilizzata, a volte anche a sproposito); sicuramente c’è stata un’evoluzione nel livello di consapevolezza delle persone e delle aziende, parzialmente portata anche da noi nel caso di queste ultime. In parte ciò è sicuramente dovuto anche all’evoluzione tecnologica complessiva e da quello che viviamo tutti i giorni tramite gli strumenti  che utilizziamo.

Attualmente  vediamo che in Italia la ricerca e l’applicazione di queste tecniche sono sempre più richieste. Ha avuto un impatto in questo senso anche la pandemia: tecniche di intelligenza artificiale che permettono di prevedere l’evoluzione di uno scenario si sono rivelate utili per esempio nella gestione degli assembramenti, nel controllo dell’affollamento negli uffici e molto altro.

Quale direzione prenderà MIPU? Ci sono delle esigenze a livello di innovazione digitale che riscontrate e a cui state cercando di dare una risposta?

MIPU vive sempre nell’ottica dell’evoluzione e del miglioramento delle sue soluzioni. L’ambizione che abbiamo è quella di creare delle fabbriche connesse, sostenibili , così come delle città: dalla fine dell’anno scorso all’inizio di quest’anno abbiamo creato il filone di “smart cities”, ovvero l’applicazione di tutta la nostra esperienza di fabbrica a livello di città, per cercare di avere un impatto positivo sulla vita sia delle persone, sia soprattutto sull’ambiente. La nostra  modalità di gestione e di sviluppo del prodotto comprende anche l’implementazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile dati dagli SDG’s. Per esempio, stiamo lavorando molto sul problema dell’acqua: sviluppiamo intelligenze artificiali che possano migliorare  l’utilizzo di questa risorsa scarsa, sia all’interno dell’ambito industriale, sia all’interno della pubblica amministrazione.

Le tecniche predittive quindi, come ci ha spiegato Chiara Tacco, possono uscire dalla fabbrica e innovare altri settori. Non ci resta che aspettare per osservare quali ambiti verranno coinvolti da questo tipo di innovazione digitale e per scoprire quali cambiamenti porterà non solo all’industria, ma anche alla nostra vita quotidiana.

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Ambiente, società e tecnologia

Tesla Bot: Elon Musk punta sui robot antropomorfi

Tesla sta lavorando a dei robot umanoidi, con l’obiettivo di liberare completamente umanità dal lavoro fisico in un futuro non troppo remoto.

Perché hanno intrapreso questo ambizioso progetto? Contrariamente all’opinione più diffusa, Tesla non è una casa automobilistica. Infatti, come affermato più volte anche dal CEO Elon Musk, Tesla produce computer su ruote o per dirla meglio robot semi-senzienti. Il core business dell’azienda infatti si basa su robotica, l’intelligenza artificiale e la data analysis.

I Tesla Bot potrebbero prendere il nome di Optimus, e saranno una priorità per quest’anno. Musk è tornato a parlarne durante la conferenza sui risultati finanziari del quarto trimestre 2021 di Tesla sostenendo che gli Optimus diventeranno un mercato nettamente maggiore a quello dei veicoli.

La rete neurale addestrata negli anni per la guida autonoma è già stata montata sui recentissimi Tesla Semi. I primi camion al mondo a guida autonoma, capaci addirittura di creare delle carovane autopilotate. Ora è il momento di usare questa tecnologia con dei robot umanoidi.

Conscio che questi automi in un primo momento potrebbero incutere timori nel cittadino medio, il CEO di Tesla ha scherzato sul fatto che sono stati progettati affinché si possa fisicamente scappare via da loro correndo: infatti, avranno una velocità massima di 8 Km/h e saranno in tutto e per tutto simili alle persone, con un’altezza di circa 173 cm per 57 Kg di peso.

Per renderlo maggiormente antropomorfo, il volto sarà composto integralmente da uno schermo ad alta risoluzione che replicherà espressioni umane stilizzate e mostrerà vari testi informativi.

Optimus si muoverà grazie a quaranta attuatori elettromeccanici che gli consentiranno di sollevare fino a 68 Kg e di trasportarne una ventina. Un singolo braccio in completa estensione avrà la capacità di alzare 4,5 Kg.

Un primo prototipo sarà mostrato al pubblico nel corso del 2022. Molto probabilmente i Bot verranno impiegati, in un primo momento, solo all’interno delle Tesla Factory, prima di essere messi sul mercato. Non è stato ancora indicato il prezzo di lancio.

Bot sarà buono, vivrà in un mondo fatto per gli umani, eliminando compiti pericolosi, ripetitivi e noiosi. Deve essere in grado di eseguire comandi nel modo più naturale possibile. Anche di fare la spesa. […] Penso che essenzialmente in futuro il lavoro fisico sarà una scelta, se vuoi farlo puoi.” così Elon Musk parlò di Tesla Bot durante la presentazione al Tesla AI day.

Nel frattempo Tesla sta cercando voracemente profili.

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Ambiente, società e tecnologia

La comunicazione divertente e socialmente impattante di Durex: intervista a Nicolò Scala

Quante volte ti è capitato di leggere divertito i contenuti sui social di Durex?

Il real time marketing, tecnica di comunicazione che sfrutta gli eventi del momento e spesso utilizzata dai brand per personalizzare i propri contenuti, è diventata una delle strategie per la quale Durex è maggiormente conosciuta, ma non l’unica.

In realtà questo brand che negli anni ha conquistato sempre più utenti e anche consumatori, non si limita solo a utilizzare queste tecniche, ma sforna costantemente progetti innovativi e originali per aumentare la propria brand awarness, raggiungere sempre più persone e dare un impatto positivo diffondendo messaggi importanti.

Per scoprire gli interessanti processi dietro alla comunicazione e affermazione di questo brand nel panorama del mercato italiano, abbiamo intervistato proprio chi vi lavora dietro le quinte: stiamo parlando di Nicolò Scala, marketing manager di Durex Italia, che ci ha raccontato curiosità e aneddoti del suo percorso, di come l’azienda si è mossa negli ultimi tempi e di qualche nuovo progetto.

 

Nicolò, per iniziare, raccontaci un po’ il tuo background e come ti sei appassionato al mondo del marketing.

Già ai tempi del liceo ero una persona estremamente curiosa: tutto ciò che era innovazione coglieva la mia attenzione e interesse. A quei tempi, quando si parlava di comunicazione innovativa, ci si riferiva a strumenti che naturalmente oggi per noi risultano ormai obsoleti, infatti, quando io ero al liceo, in Italia aveva appena iniziato a diffondersi il primo iPhone.

Seguire l’evoluzione dei trend di comunicazione mi ha portato così ad avvicinarmi al mondo del marketing.

Purtroppo, quando si pensa alla comunicazione e al social media marketing viene ancora in mente solamente il post su Instagram, ma dietro a questo c’è molto più lavoro: una strategia di brand definita, una strategia di equity, di prodotto, leve di trade marketing, la parte di ricerca sviluppo e innovazione, ricerche di mercato, e molto altro.

Quindi, si tratta veramente di un mondo infinito, anche se per me la comunicazione rimane sempre la parte più dilettevole e stimolante che ci sia nel marketing.

A livello di percorso accademico, ho studiato economia in triennale a Milano all’Università Bocconi, ho proseguito con una specialistica in marketing management con didattica in inglese con un double degree in international management alla Queens University in Canada.

 

Come descriveresti la Comunicazione di Durex? Quali sono gli ingredienti che la rendono così efficace?

A noi piace chiamare il tono di voce di Durex “playfully provocative”, giocosamente provocante.

La comunicazione di Durex è irriverente e divertente e a volte sfrutta il real time marketing, ma l’aspetto centrale che la caratterizza è l’intenzione di trasmettere il messaggio a cuore del brand, ovvero la diffusione di una sessualità sana, libera, protetta e consapevole.

Ovviamente, è importante comunicare i prodotti del brand come i sex toys o i preservativi, ma il messaggio centrale consiste nel donare la possibilità al consumatore di scegliere i prodotti che possano migliorare la sua vita sessuale e garantire a tutti il diritto di avere una sana e sicura sessualità.

 

Quali sono le sfide che Durex deve affrontare oggi, soprattutto in merito alla disinformazione sulla sessualità? Come state cercando di colmare questo gap informativo?

Ti ringrazio della domanda perché mi viene posta spesso ma è ugualmente quella alla quale sono sempre più felice di rispondere.

Oggi, in Italia, l’educazione sessuale non è materia di formazione nella scuola dell’obbligo a nessun livello, dalle elementari al liceo; a livello delle scuole dell’infanzia si dovrebbe parlare più di educazione all’affettività rispetto alla sessualità, chiaramente, però il rispetto che si potrebbe insegnare è alla base della crescita dell’individuo e delle relazioni e questo valore si tradurrà anche in una sessualità sana nel tempo.

Ad oggi, soltanto un giovane sessualmente attivo su due utilizza in preservativo nei rapporti, e sapendo che si tratta di un’età dove non c’è una particolare stabilità di coppia, quella dell’adolescenza, probabilmente non c’è la consapevolezza di quello che possa voler dire utilizzare o meno un preservativo in un rapporto.

Tanti ragazzi sanno che il preservativo è un anticoncezionale ma pochissimi sanno che è l’unico anticoncezionale in grado di prevenire la trasmissione di infezioni sessualmente trasmissibili.

Inoltre, spesso non se ne parla neanche a casa: infatti, secondo uno studio realizzato da Durex, soltanto il 30% dei ragazzi parla con almeno uno dei genitori di un argomento attinente al sesso.

I giovani in realtà vogliono informarsi, ma lo fanno attraverso fonti che hanno a loro disposizione, come gli amici ma soprattutto Internet, che su questo aspetto è un’arma a doppio taglio: da una parte ci sono contenuti di qualità forniti da siti istituzionali oppure siti che danno informazioni qualificate e controllate, ma ci sono anche tante fake news e informazioni poco controllate, e non dobbiamo dare per scontato che un’adolescente sia in grado di discernere cosa sia vero e cosa sia falso.

In più Internet nasconde una grandissima insidia: la pornografia, che purtroppo non ripercorre una visione di una sessualità sana sicura e consapevole, ma genera false aspettative, falsi miti e crea nella mente di chi la guarda una mistificazione della sessualità.

Di fronte a questo panorama una marca come Durex si impegna nel mostrare i valori di una sessualità genuina e lo fa anche attraverso questa comunicazione irriverente dove cerca di prendere l’attenzione con dei messaggi non noiosi e cercando di veicolare messaggi di uguaglianza, inclusione, protezione proprio per cercare di educare le persone rimanendo una voce credibile.

 

Secondo te, Durex può dire di aver costruito una community in questi anni?

“Sì, mi sento di confermarlo anche con qualche dato: la community di Instagram è molto forte, parliamo di un engagement rate oltre il 5% in maniera costante con picchi del 10% nei periodi più intensi dell’anno.

È una community che interagisce tantissimo sia in pubblico che in privato e stimola la conversazione sul sesso.

Durex può addirittura essere definito un lovebrand. diverse persone seguono e interagiscono con il brand seppure non siano consumatori della categoria, e perché seguono Durex come se fosse un amico da avere accanto, perché dà informazione rilevante e di qualità in modo diverso rispetto agli altri”.

 

Come è cambiata Durex in tempo di Lockdown e in che direzione sta procedendo?

Durex è cambiata tantissimo, e più che Durex è cambiata la sessualità: durante il periodo di marzo 2020 fino a giugno 2020, periodo di forte lockdown, c’è stato un crollo di atti sessuali di circa l’80%.

Anche la mascherina è ancora una barriera che incentiva la distanza sociale, quindi si tratta probabilmente di una cosa che rimarrà nel tempo. Ad oggi il mercato non si è del tutto ripreso e faccio riferimento a quelli che sono gli ultimi dati, rispetto ai livelli di pre-pandemia siamo ancora -10% di valore; questa cosa è successa perché alcune persone si allontanate o sono lontane dal mondo del sesso, per ragioni più o meno conosce, o per abitudine o per paura.

Dobbiamo anche pensare che c’è una generazione che sta tardando il primo rapporto, che in Italia era intorno ai 13 anni, ma ora tutta quella fascia di età non ha gli stessi luoghi di aggregazione che aveva prima anche con la didattica a distanza influisce su questo. Più sarà prolungato e ripetuto nel tempo e più inciderà nella sessualità a lungo termine, perchè è come se piano piano si stesse creando un velo divisorio anche tra le persone e incide anche questo sicuramente sulla vita sessuale.

Durex non solo è cambiata ma soprattutto ha cambiato lo stile di comunicazione durante il lockdown, perché non poteva incentivare le persone ad avere rapporti dato che non voleva dare comunicazioni in contrasto con le indicazioni legislative in materia di distanziamento sociale.

 

Ci parli di un progetto particolarmente significativo di Durex?

Il progetto che mi ha toccato di più e dove secondo me il brand ha evoluto un po’ anche lo stile di comunicazione in termini di messaggio e aree tematiche è la creazione della serie tv “Sex Uncut” in collaborazione con Amazon Prime.

Si tratta di una serie tv in 10 episodi che racconta a 360° 10 argomenti radicalmente diversi, che spaziano dal primo rapporto fino a come affrontare l’argomento del sesso con i bambini.

C’è infatti anche una puntata dedicata proprio ai genitori, a come cercare di approcciare il dialogo con i figli. Nelle altre si parla di diversità, inclusione, di coming out, del concetto di gender, piacere sessuale e molto altro.

Quindi, da come si è visto da questo progetto, Durex è un brand che si è evoluto e oggi parla di molti più argomenti attinenti alla sfera sessuale, cercando anche di dare degli strumenti in più ai genitori, agli adulti e ai giovani che si affacciano per la prima volta, per capire questo mondo, in questo caso con un prodotto di alta qualità.

Sono presenti nella serie influencer e ambassador, persone quindi in cui ci si può riconoscere e di cui si ascoltano i consigli, ma per rendere il messaggio veicolato da queste figure è stata fondamentale la presenza di esperti in ambito medico, da una ginecologa, psicologa, psicoterapeuta, andrologo, in modo tale che possano guidare la discussione in maniera corretta ma anche in maniera non noiosa o troppo tecnica con l’aiuto degli ambassador.

Quindi, questa serie tv è il progetto di cui sono stato più innamorato in questi anni, è quello che ho seguito anche più da vicino dato che sono stato presente sul set per quattro giorni dalla mattina alla sera ed è stato secondo me un bellissimo progetto in cui anche Amazon che ha dei valori sulla diversity & inclusion molto vicini a Durex ha deciso di sposare assieme a noi perché va finalmente a raccontare in maniera autorevole ma non pesante quello che è un argomento non semplice.

A livello di numeri, ad esempio, la prima puntata è stata vista in organico da oltre 400.000 persone, quindi numeri molto importanti.

Un esempio che mi ha toccato particolarmente è quello di un mio collega, genitore, che mi ha raccontato di come non abbia mai affrontato l’argomento sesso con i suoi bambini e di come abbia deciso di mostrare ai suoi figli la puntata dedicata al sesso spiegato ai bambini; quindi, comunque non ha parlato lui stesso di sesso con loro, ma grazie all’utilizzo di quella puntata è riuscito ad affrontare l’argomento, quindi è stato un piccolo passo verso un impatto positivo in un cambiamento sociale e quindi per quello sono particolarmente legato e spero in una seconda stagione.

 

Per concludere, come ci aveva anticipato Nicolò, ecco l’account Tik Tok di Durex che è stato lanciato il 10 febbraio partendo con una collaborazione con il cantante e artista Aiello.

Dopo la collaborazione con Tananai al festival di Sanremo, con la canzone “Sesso Occasionale”, si è passati a un’altra collaborazione importante con un artista molto conosciuto in Italia e che rappresenta ancora una volta il brand sotto una luce differente, con lo scopo di affermare la sua presenza su Tik Tok in maniera più marcata.

 

Siamo sicuri che in futuro verremo ancora stupiti da Durex e non vediamo quindi l’ora di scoprire cos’altro sta preparando per noi!

 

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Ambiente, società e tecnologia

A Torino si studia la guida autonoma (e si sperimenta)

Autobus senza conducente per il trasporto di passeggeri e pendolari e droni postino che sorvolano le nostre città: non è la trama di un film ambientato nel futuro, ma alcuni degli esperimenti innovativi effettuati in questi mesi a Torino, dove due navette a guida autonoma circoleranno nella zona dei presidi ospedalieri lungo un percorso di 5 km. Una prima fase sarà senza passeggeri e servirà a esaminare i mezzi nel traffico reale, dalla raccolta dei dati alla formazione degli operatori di bordo, mentre la fase successiva, in partenza a maggio e con durata cinque mesi, vedrà le navette ospitare persone a. bordo, che potranno prenotare la propria corsa gratuita tramite un’apposita applicazione.

Il test, gestito dal Gruppo Torinese Trasporti nell’ambito del progetto europeo SHOW, è autorizzato da “Sperimentazione Italia”, una deroga normativa per start up, imprese e università per testare progetti innovativi e vede la collaborazione e la cooperazione del Dipartimento per la trasformazione digitale, il Ministero dello Sviluppo Economico e il Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile.

L’obiettivo, così come dichiarato dai ministri interessati, è infatti quello di sperimentare nuove tecnologie innovative nel settore della mobilità, per porre le basi di uno sviluppo sostenibile nei centri urbani, migliorare la qualità della vita delle persone e delle imprese, ridisegnando e rigenerando le città riducendo al contempo l’impatto sull’ambiente.

 

Gli esperimenti di guida autonoma non toccano solo il trasporto passeggeri, ma si concentrano anche sulla logistica e la consegna delle merci. Ci riferiamo al volo, effettuato sempre nel capoluogo piemontese, di un drone cargo con capacità di carico di 100 kg, che dal centro smistamento di Poste Italiane ha sorvolato una zona ad alta densità abitativa lungo un percorso di circa 7 km.

L’esperimento è servito a controllare la sicurezza di questa tipologia di volo in aree densamente abitate ed è incluso nel programma Sumeri Moderni. Il progetto che vede protagonisti Leonardo, Poste Italiane e la startup FlyingBasket è legato allo sviluppo di droni cargo da far volare in modo autonomo, senza l’ausilio dell’attività umana, ma sfruttando l’intelligenza artificiale. Il traguardo ultimo è la loro implementazione nel settore logistico, così da soddisfare la crescente domanda, scaturita dall’esplosione dell’e-commerce, garantendo flessibilità, minori tempi di consegna e riducendo al tempo stesso traffico e inquinamento.

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Ambiente, società e tecnologia

I Podcast nelle strategie di comunicazione e web marketing per i brand

Secondo i dati forniti da IPSOS Digital Audio Survey 2021, lo scorso novembre le persone che hanno ascoltato podcast sono state 9,3 milioni, un milione in più rispetto al 2020.

È con questo importante dato che Gabriella Bellomo, founder di Podcast Starter, autrice di diversi libri, docente e consulente marketing ha introdotto il suo talk a tema “I Podcast all’interno di una strategia di web marketing per i brand” durante l’ultima giornata del Digital Innovation Days.

Questi dati e la presentazione in sé hanno avuto il compito di dimostrare quanto oggi i podcast siano diventati sempre di più uno strumento fondamentale per le strategie di comunicazione e per lo sviluppo di una brand awarness aziendale.

Durante le giornate del Digital Innovation Days diversi esperti si sono espressi sul tema e hanno raccontato caratteristiche e vantaggi della creazione e utilizzo dei podcast nelle strategie di comunicazione dei brand, così com’era anche accaduto al Web Marketing Festival dello scorso luglio.

 

Perché i podcast sono così importanti?

I podcast aggiungono un ulteriore touchpoint e un’opportunità in più a quello che è il customer journey delle persone. Il podcast diventa infatti un momento di ascolto particolare per l’utente: per vedere un messaggio pubblicitario in tv, un video su Youtube o per scrollare il feed di Instagram o Tik Tok, il consumatore deve avere un’attenzione più dedicata, mentre i momenti di ascolto dei podcast si collegano a dei momenti più liberi della giornata, magari mentre si svolgono altre attività.

Come aveva raccontato anche Mario Moroni durante un’intervista di qualche mese fa, i podcast sono più facili da usufruire rispetto al formato video proprio per questo motivo.

Il podcast è inoltre considerato una tipologia di contenuto “evergreen” che non potrà far altro che aumentare la sua visibilità nel corso del tempo, proprio perché le persone, essendo sempre più impegnate con molte attività da svolgere, riusciranno a dedicare un’attenzione sempre minore ai formati video o che richiedono più attenzione.

 

Come integrare i podcast in una strategia di web makerting?

Per integrare il format del podcast in una strategia di web marketing è fondamentale intraprendere due strade, ovvero l’inbound marketing, anche chiamato marketing attrattivo, oppure la pubblicità.

Nel primo caso, i contenuti vengono creati in maniera specifica per i contenuti audio e soprattutto per la propria audience, al contrario dei contenuti pubblicitari che invece vengono creati per attirare potenziali clienti.

Una prima prospettiva è quella dei branded podcast, che consistono in contenuti seducenti e attrattivi per la propria audience. I punti a favore di questa tipologia di contenuti sono un’esperienza di fruizione attenta, coinvolta, immersiva e sicura.

I Corporate Podcast fanno parte di questa categoria, e si tratta di contenuti audio che possono essere divulgati anche solo all’interno della propria azienda, ma sono molto importanti per creare un interscambio di valore umano tra i propri dipendenti.

 

La seconda prospettiva invece consiste nel dynamic advertising, che in realtà può coesistere con quella dei branded podcast e della pubblicità.

Si tratta di uno spot pubblicitario, costituito da un messaggio registrato e distribuito dinamicamente all’interno dei podcast in target.

Un’altra modalità per integrare questa prospettiva di contenuto audio all’interno di un podcast è l’host read, ovvero l’azione che compie lo speaker del podcast nel momento in cui legge il messaggio pubblicitario, tipicamente della durata di 30-60 secondi, durante la registrazione del suo episodio.

 

Un esempio di una strategia di comunicazione di successo è stato raccontato da Francesca Bolzacchini, Digital Media & Content Manager di L’Oreal Italia, che ha raccontato la strategia usata per il lancio di Voce Viva, la nuova fragranza di Valentino Beauty con protagonista la cantante e attrice di fama mondiale Lady Gaga.

Il brand è riuscito ad esaltare la voce delle donne attraverso un’ulteriore tecnica innovativa, l’audio 8D.

La scelta da non sottovalutare di includere Lady Gaga, che ha una voce potente, vibrante ed è anche un personaggio abbastanza influente su diversi fronti, ha permesso di raggiungere il successo con questa campagna, che tra l’altro ha permesso all’artista di interpretare un brano del suo ultimo album.

Con uno spot visivo molto efficace e una colonna sonora avvolgente, i risultati di questa campagna che ha fatto leva su un contenuto soprattutto audio sono stati molto positivi.

 

 

Perché il podcast è la scelta vincente per fare storytelling?

Durante i Digital Innovation Days si è tenuta inoltre un’interessante tavola rotonda a tema “Podcast vs Video content” con protagonisti Davide Schioppa, founder di Podcastory, Damiano Crognali, giornalista e podcaster e Luca Beni, produttore di podcast e audio editor.

In questa occasione è emersa la domanda “per quale motivo converrebbe scegliere un podcast soprattutto per quanto riguarda l’attività di fare storytelling, ad oggi considerata talmente importante?”

 

Secondo gli ospiti di questo talk, l’obiettivo principale del podcast è proprio quello di raccontare alle persone dei valori: il podcast, secondo Davide Schioppa, è addirittura da considerarsi un vero e proprio superpotere, che aziende considerate supereroi devono essere in grado di sfruttare e utilizzare in modo consapevole ed efficace, dato che da esso derivano sia benefici che responsabilità.

 

Il metodo di comunicazione che un’azienda potrebbe avere attraverso un podcast è quello di sfruttare un rapporto one to one, che nel caso delle pubblicità su altri media come la televisione o i social accade molto poco: il podcast permette infatti che il messaggio, la storia e la comunicazione vengano proprio sussurrati alle persone, ed è questo il principale motivo per il quale questo strumento è considerato così efficace.

 

È anche vero che le numeriche dei podcast non sono le stesse di altri media, motivo per il quale si potrebbe essere poco incentivati a investire in questi contenuti, ma infatti l’obiettivo dell’utilizzo di un podcast in una strategia di web marketing non è quello di vendere di più, ma di essere più convincenti rispetto a un rapporto one versus molti, cercando di trasmettere delle vere emozioni agli ascoltatori.

 

Per spiegarci quanto questo strumento possa essere efficace anche in contesti insoliti e inaspettati, Damiano Crognali ha parlato di un case history di successo, un podcast che si chiama Mozzacast ed è dedicato alla mozzarella di bufala campana! In questo caso un prodotto che per essere percepito al massimo dall’utente dovrebbe fare riscorso ad altri sensi come la vista o il gusto, in questo caso è stato raccontato attraverso una voce umana in una serie di episodi, l’azienda ha quindi cercato di arrivare ai consumatori attraverso l’ascolto.

 

Al giorno d’oggi ci sono ormai tantissime persone a cui piace ascoltare delle belle storie, ecco perché secondo i tre esperti è fondamentale, anche senza avere all’inizio i migliori strumenti tecnici a disposizione, produrre podcast per trasmettere più emozioni.

 

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Ambiente, società e tecnologia

Progetto SABREEN: uno screening ecografico mammario con lo smartphone

Si stima che il cancro al seno colpisca in media 1 donna su 8 e che in Italia il 13% sia costituito da donne di età inferiore ai 40 anni (fonte: I numeri del cancro in Italia 2020), una fascia d’età che non è generalmente inclusa nei programmi di screening. Ma per il cancro al seno una diagnosi precoce assicura percentuali di guarigione elevate ed è qui che entra in gioco SABREEN.

SABREEN è un sistema innovativo che permette alle donne di effettuare in autonomia uno screening ecografico del seno attraverso una sonda connessa allo smartphone. Il suo nome sta per Smart Assistant for BREast screENing e significa letteralmente “assistente intelligente per lo screening al seno”. È stato ideato e brevettato con obbligo di uso umanitario dalla start up siciliana HTLab, fondata da vEyes ONLUS, una realtà nata come progetto di ricerca scientifica no profit e con l’obiettivo di realizzare tecnologie open per persone con disabilità visiva. HTLab, come si legge sul sito di vEyes ONLUS, nasce con l’obiettivo di estendere le competenze dell’ingegneria biomedica, della biomedicina e della bioinformatica a contesti diversi da quelli della vista. Il primo progetto sviluppato da HTLAB è stato proprio SABREEN.

Ma come funziona SABREEN? Attraverso una sonda lineare connessa a uno smartphone Android, la donna può eseguire un’ecografia mammaria che è in grado di rilevare la presenza di eventuali masse sospette grazie a un sistema di intelligenza artificiale, che ricostruisce un modello 3D del seno dalle immagini bidimensionali dell’ecografia. Per semplificare e rendere affidabile l’esame, la sonda è stata dotata di sensori che guidano la donna nel movimento, eliminando le scansioni che non sono svolte correttamente. Una volta terminata l’ecografia SABREEN conferma l’avvenuta esecuzione corretta, ma non fornisce alcuna valutazione clinica delle immagini. In presenza di masse sospette SABREEN invia una segnalazione a un centro senologico accreditato per le valutazioni cliniche necessarie e la convocazione della paziente per una visita. SABREEN ricorda attraverso una notifica anche quando è il momento di eseguire l’esame, calcolando tempi e giorni ottimali.

Da marzo 2021 è iniziata la seconda fase di sperimentazione che coinvolge donne volontarie di età compresa tra i 18 anni e i 40 d’età. Questa sperimentazione è necessaria affinché sia possibile una validazione clinica del progetto che consentirà di avere uno strumento concreto per una diagnosi precoce del cancro al seno nelle giovani donne.

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Ambiente, società e tecnologia

La tutela ambientale nella Costituzione: vediamo cosa lo ha reso possibile

Lo scorso 8 febbraio la Camera dei deputati ha approvato, in seconda lettura, il disegno di legge costituzionale che introduce delle modifiche negli articoli 9 e 41 permettendo l’inserimento della tutela dell’ambiente all’interno della legge fondamentale dello stato. Questo non significa che prima di allora il bene ambientale non godesse di alcuna tutela ma semplicemente che non gli era mai stata riconosciuta una tale importanza “individuale” e che spesso la sua tutela era subordinata a quella di qualche altro interesse.

La nozione di ambiente

Il senso comune promuove come definizione di ambiente quella di spazio più o meno circoscritto connotato da una certa omogeneità di fattori, siano essi chimico-fisici (temperatura, illuminazione, presenza di sali nell’acqua e nel terreno, ecc.) o biologici (presenza di organismi). Definizione stando alla quale appare difficile trovare il punto di incontro tra il concetto di ambiente e il mondo giuridico.

Massimo Severo Giannini, un importante giurista italiano, nel suo articolo “Ambiente: saggio sui diversi aspetti giuridici” del 1973 affermava che l’ambiente non era una nozione giuridica, piuttosto si configurava come la somma di una pluralità di profili giuridicamente rilevanti. D’altro canto anche l’enciclopedia online Treccani scrive che “Il termine ambiente è utilizzato in senso promiscuo dal legislatore, per denotare tanto la realtà naturale quanto gli ambienti di vita e di lavoro. Nonostante, infatti, l’esistenza nell’ordinamento giuridico italiano di una molteplicità di leggi inerenti alla tutela ambientale, non è possibile individuare alcuna definizione normativa del concetto di ambiente.”

A cinquant’anni di distanza, il concetto di ambiente è passato attraverso un’evoluzione di rilievo che lo ha portato a essere riconosciuto come diritto. È stato fondamentale, a tal fine, riconoscere l’ambiente come un insieme di fattori e condizioni tra loro collegati che creano un equilibrio che permette la vita degli esseri viventi e, poiché esistono una serie di comportamenti dannosi che ne alternano l’equilibrio, si è reso necessario introdurre alcuni strumenti a tutela del sistema stesso. In termini giuridici si dice che l’ambiente è divenuto oggetto di situazioni giuridiche soggettive e, dunque, suscettibile di protezione giuridica.

La nascita del diritto ambientale

L’affermazione del diritto ambientale, come avviene anche per altre tipologie di diritti, è stata preceduta da una serie di manifestazioni di interesse e di bisogni da parte di una componente rilevante delle società. Questo ha permesso la produzione di una normazione che riconoscesse e che dunque tutelasse il bene giuridico in oggetto nei vari casi.

In Italia, lo scoglio più grande da superare è stato il fatto che gli scienziati del diritto, ma anche i legislatori e la giurisprudenza, hanno continuato, per lungo tempo, a non concepire l’ambiente come un bene giuridico unitario e rilevante in sé per sé ma, un po’ come nella lettura data da Giannini, come una somma di profili rilevanti solo nel momento in cui questi si intersecavano con altri interessi giuridicamente protetti.

Ad esempio le bellezze naturali che hanno acquisito rilevanza nell’ambito della tutela del patrimonio storico-culturale del nostro paese o la pulizia delle acque e del suolo che hanno trovato tutela in occasione della protezione della salute individuale e pubblica. In quest’ottica la lotta all’inquinamento è avvenuta attraverso due fonti del diritto: il T.U. n. 1265/1934 sulle emissioni delle industrie insalubri e attraverso T.U. 366/1941 sullo smaltimento dei rifiuti. Invece, la legge n. 1497/1939 ha coadiuvato la tutela dell’ambiente attraverso la protezione delle bellezze naturali che all’epoca erano sotto la giurisdizione del Ministero dell’Educazione. Da sottolineare è che, in entrambi i casi, le fonti del diritto citate erano state pensate e promulgate al fine di tutelare altri interessi e che solo secondariamente ne risultasse tutelato anche l’ambiente.

Un importante traguardo è rappresentato dalla Legge n. 349/1986 con cui viene riconosciuto e istituito il Ministero dell’ambiente. Per la prima volta nella storia italiana, è stata fornita all’interesse una struttura normativa e amministrativa che congiuntamente potesse lavorare a tutela dell’ambiente. Tuttavia questa si presenta come una vittoria mutilata, infatti, nonostante l’introduzione del ministero dedicato, per lungo tempo non è mai venuta meno la visione antropocentrica, come può constatarsi nell’Art. 1, comma 2, “È compito del Ministero assicurare, in un quadro organico, la promozione, la conservazione ed il recupero delle condizioni ambientali conformi agli interessi fondamentali della collettività ed alla qualità della vita, nonché la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale e la difesa delle risorse naturali dall’inquinamento”.

Un ultimo grande passo per la tutela dell’ambiente è stato fatto con il riordino e la raccolta delle norme in materia ambientale avvenuto, per la prima volta, nel 2006, attraverso il D.lgs. n. 152/2006, noto come Codice dell’Ambiente o, più correttamente, Testo Unico dell’Ambiente (TUA). Sebbene la dicitura “Codice dell’ambiente” sia quella di utilizzo più frequente, in termini giuridici non risulta essere appropriata in quanto il TUA: non contiene una parte generale (un’elencazione di principi è stata poi inserita dal decreto correttivo n. 4/2008), non rielabora la materia in modo sistematico, armonizzando le sue varie parti, di modo da risultare principalmente una somma di interventi normativi autonomi e, infine, non ha carattere universale, in quanto alcune tematiche della tutela ambientale restano, ancora oggi, fuori dal “codice”.

Tutela ambientale in Costituzione: cosa cambia adesso?

L’ingresso della tutela ambientale nella legge fondamentale dello Stato fornisce la possibilità di dichiarare anticostituzionali tutte quelle leggi che violino tale principio oltre che favorire la proliferazione di norme a tutela di vari aspetti ricadenti nella sfera ambientale.

Anche se, come noto, nelle Corti non c’è possibilità di estendere l’efficacia dei principi di tutela ambientale anche al tempo precedente a quello del suo ingresso in Costituzione (retroattività), è possibile che le modifiche agli articoli negli articoli 9 e 41 incidano, anche solo indirettamente, sulle loro decisioni circa una serie di processi già avviati. Un altro campo di applicazione della nuova tutela ambientale potrebbe essere la legittimazione delle richieste di asilo avanzate dai migranti climatici che, come già visto precedentemente, per ora in Italia non possono godere di alcuna protezione normativa.

Infine, è necessario sottolineare che il riconoscimento della tutela ambientale e la sua inclusione nella Costituzione non sarebbe mai stato possibile senza la costante e decisa azione delle associazioni ambientaliste e da una serie di sentenze pronunciate dalle Corti di Cassazione e costituzionale.

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Festeggiamenti sostenibili: tra coriandoli e fuochi d’artificio a misura di natura

La settimana di Carnevale, tra le numerose feste che si svolgono durante l’anno in ogni parte del mondo, è forse quella che maggiormente richiama all’allegria e al divertimento; tuttavia, considerando gli effetti negativi che ha sull’ecosistema, la voglia di divertirsi viene meno.

L’eccessiva quantità di coriandoli e altri prodotti soprattutto di materiale plastico lanciati in aria e sparsi in giro anche per diverse settimane rappresentano, infatti, un enorme pericolo per l’ambiente e gli animali.

Se tuttavia risulta difficile immaginare il Carnevale senza i tradizionali coriandoli colorati, dovremmo chiederci se sia possibile continuare a festeggiare senza danneggiare la natura. Con la proposta che arriva dalla Germania sembra che la cosa si possa fare.

 

La Saatgut Konfetti, startup tedesca nata nel 2019 dall’idea di tre giovani studenti dell’Accademia di Kassel ha realizzato dei coriandoli bio, compostabili e contenenti i semi di 23 specie di piante selvatiche con l’aggiunta di amido e coloranti naturali ed ecologici. Essendo germinatori leggeri, i semi non hanno bisogno di essere interrati e sono stati progettati con lo scopo di fornire casa e cibo per api, insetti e piccoli animali.

Sebbene al momento le piante siano autoctone e quindi utilizzabili solamente per lo specifico territorio tedesco, la startup sta lavorando per rendere la produzione maggiormente economica e accessibile per diffondere il prodotto in molte altre parti del pianeta. L’obiettivo è contribuire alla conservazione, crescita e consapevolezza dell’importanza della biodiversità attraverso l’uso educativo di beni di consumo, creando un connubio tra divertimento e tutela ambientale.

 

Sempre in tema di festeggiamenti sostenibili, il prossimo giugno a Bilbao, in occasione del WellBeing Summit, verrà presentata SPARK, performance visiva ecosostenibile ideata dallo Studio Roosegarde. Costituita da migliaia di scintille di luce, utilizzando materiale biodegradabile, che muovendosi nel vento formano una nuvola di 50x30x50 metri, quest’opera d’arte paesaggistica vuole porsi come alternativa sostenibile ai tradizionali fuochi pirotecnici inquinanti e spesso vietati. Scopo dello studio è aggiornare in chiave eco le tante celebrazioni locali e internazionali (Capodanno, Olimpiadi, feste comunali, ecc.), che se da un lato consentono alle comunità di riunirsi e festeggiare insieme aumentando il senso di collettività, al contempo provocano troppo spesso notevoli danni e conseguenze irreversibili per il contesto ambientale dell’intero pianeta.

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Come sta andando per Meta

L’impresa statunitense che conoscevamo come Facebook, Inc ha cambiato nome il 28 ottobre 2021 in Meta Platforms, Inc, nota anche semplicemente come Meta. A distanza di circa 5 mesi da questo importante cambiamento vogliamo approfondire come stia andando per questa famosa azienda.

 

 

Facebook, Instagram e WhatsApp

Meta è proprietaria di tre tra le più note piattaforme di social networking: Facebook, Instagram e WhatsApp.

We Are Social ha pubblicato anche quest’anno il nuovissimo report sullo stato dell’arte del web nel mondo, Digital 2022, in cui ci mostra i dati del mondo digitale. Questo report passa in rassegna tutti i dati legati alla nostra vita online che dimostrano quanto il mondo sia ancora più interconnesso durante la pandemia.

Proprio grazie a quanto analizzato nel Digital 2022 possiamo capire quanta strada abbiano fatto le tre piattaforme di social networking di Meta. Partendo dalla classifica delle query più cercate su Google tra il 1 gennaio 2021 e dicembre 2021, vediamo rispettivamente Facebook, Instagram e WhatsApp al secondo, all’undicesimo e al settimo posto. Dato che nel report viene qui fatta la distinzione tra WhatsApp e WhatsApp web, la versione desktop della famosa app, si segnala che nel caso di WhatsApp web si scende al nono posto.

In un’altra classifica il focus si sposta sulla percentuale di utenti che preferisce una determinata piattaforma su un campione che va dai 16 ai 64 anni.

Al primo posto abbiamo WhatsApp con il 15.7%, al secondo posto Instagram con il 14.8% e infine al terzo posto Facebook con il 14.5%. In questo caso abbiamo tutte e tre le app di Meta sul podio a denotare un chiaro apprezzamento da parte del pubblico online.

 

 

Nuovi problemi di privacy per Mark Zuckerberg

Negli anni Zuckerberg si è spesso difeso dalle accuse europee di profilazione dei dati dei suoi utenti. Recentemente sia Instagram sia Facebook sono sotto il mirino in quanto l’Europa sembrerebbe contrastare l’utilizzo dei sever statunitensi per il trattamento dei dati degli utenti europei. A questo proposito, come riportano varie testate giornalistiche, Mark Zuckerberg sembra aver affermato la volontà di poter chiudere Facebook e Instagram in Europa.

Tuttavia questa notizia non pare avere un effettivo fondamento, infatti il Sole 24 ore in questo articolo afferma che il tutto potrebbe essere nato da un’interpretazione superficiale del documento inviato alla SEC: la Securities and Exchange Commission (Commissione per i Titoli e gli Scambi).

La frase in questione é la seguente: “non saremo più in grado di offrire alcuni dei nostri prodotti e servizi più importanti, compresi Facebook e Instagram, in Europa, fatto che influirebbe materialmente e negativamente sulla nostra attività, sulla nostra condizione finanziaria e sui risultati delle nostre operazioni”. Come riporta sempre il Sole 24, Meta ha smentito quanto è stato interpretato dai giornali, affermando di non avere intenzione di ritirarsi dal mercato europeo.

 

 

Il Metaverso sembra ancora lontano e pericoloso

Il Metaverso, come abbiamo appresso, è una piattaforma social che combina l’AR (realtà aumentata) e VR (realtà virtuale) per immergere l’utente in un modo virtuale in cui può interagire con altri avatar. La parte VR l’abbiamo con il recente casco virtuale “Quest 2” mentre la parte AR l’abbiamo con “Spark AR” che permette di creare vari effetti da utilizzare durante le chiamate oppure creare e pubblicare nuovi filtri su Instagram. Detto ciò purtroppo ancora qualcosa non funziona infatti a livello economico il casco virtuale non è accessibile per tutti, quindi non è possibile ancora parlare di un vasto pubblico per questa nuova piattaforma. Inoltre gli ultimi eventi mostrano che per quanto il Metaverso sia un luogo nuovo presenta ancora problemi vecchi. Quello che è emerso di più tratta delle molestie in piattaforma. Infatti come riporta il Fatto Quotidiano nel suo articolo, un utente una volta entrato nel Metaverso ha subito molestie da parte di un gruppo a distanza da 1 minuto dal suo ingresso. Tutto questo dimostra che c’è ancora molto lavoro da fare sul Metaverso per renderlo più sicuro e accessibile.

 

In conclusione Meta sembra procedere bene in quanto tra le app social più scelte, come abbiamo visto, ci sono sempre le tre note piattaforme social di sua proprietà. Il dubbio rimane invece sul loro futuro, dati altri possibili problemi di privacy, per non parlare di cosa comporterà il continuo sviluppo del Metaverso. Vedremo cosa escogiterà Meta per rimanere in vetta.